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lunedì 17 luglio 2017

VIDEO: NOTIZIE DAL FRONTE





RAQQA. “Quando i proiettili “zippano" vicino alla testa ti butti per istinto a terra, ma il sibilo vuol dire che non sei stato colpito. I colpi di mortaio li senti partire e non sai mai se ti piombano addosso o ti passano sopra. Alla fine ti abitui”. In un’abitazione abbandonata, che segna la prima linea, comincia così l’esclusivo racconto di guerra di due italiani, che combattono lo Stato islamico a Raqqa al fianco dei curdi. Niente nomi se non quelli di battaglia. Cekdar Agir, che in curdo vuole dire dire “combattente e fuoco” è un anarchico di Torino di 41 anni, baffoni biondi e occhi azzurri. Botan viene anche lui dal nord Italia ed ha 30 anni. La famiglia è all’oscuro che combatte in Siria e per questo non vuole farsi fotografare a volto scoperto. In guerra da 8 mesi sono due dei quattro italiani sul fronte di Raqqa. Negli ultimi anni hanno combattuto fra le fila dell’Ypg, le Unità di protezione popolare curde nel nord della Siria, una ventina di connazionali. Reportage di Fausto Biloslavo







DAKUK - L’ufficiale curdo apre il fuoco contro le postazioni dei cecchini dello Stato islamico. Sul fronte di Hawjia, l’ultima sacca jihadista dopo Mosul, nel nord dell’Iraq, i tiratori scelti delle bandiere nere hanno centrato in testa un Peshmerga, pochi giorni fa. L’italiano Alex Pineschi, in tenuta da combattimento, dà una mano ai soldati curdi della 9° brigata, che avvicinano la mitragliatrice pesante montata sul cassone del fuoristrada al vallo, la linea di difesa lunga 36 chilometri a sud di Kirkuk. L’arma si inceppa, ma Alex la sblocca ed il Peshmerga spara, con un secco boato, proiettili da 12,7 millimetri verso le linee nemiche. Reportage di Fausto Biloslavo






I proiettili sibilano sopra le nostre teste o rimbalzano impazziti sulle macerie nell’ultima, feroce battaglia che ha liberato Mosul, la “capitale” del Califfato in Iraq. Il generale Shaker Jawdat, capo della polizia federale irachena, ha annunciato ieri la conquista della città vecchia nella zona ovest. L’ultimo bastione jihadista, dove, in realtà, rimangono ancora cellule e sacche di irriducibili, ma le bandiere nere sono oramai sconfitte. Nonostante lo Stato islamico abbia risposto che i suoi uomini continueranno a combattere fino alla morte. E così è stato durante la battaglia finale di venerdì nella parte antica di Mosul. Il paesaggio nella città vecchia, ultimo ridotta dello Stato islamico, è lunare: le case, una attaccata all’altra sono sventrate, annerite delle fiamme o fatte a pezzi dagli attacchi aerei, dopo 9 mesi di furiosi scontri. Le raffiche di mitragliatrice degli ultimi jihadisti di Mosul sono rabbiose, ma è al fruscio della morte che non ti abitui. L’artiglieria tuona da chilometri di distanza. Quando il colpo arriva sopra le nostre teste fendendo l’aria, come una sciabola sguainata, sembra sempre che ti piombi addosso. Pochi secondi dopo la granata esplode sulle postazioni delle bandiere nere con un pauroso boato. Un manipolo di 200 miliziani votati alla morte era asserragliato, con le unghie e con i denti, in un fazzoletto dell’antica Mosul. I seguaci del Califfo, completamente circondati e con alle spalle il fiume Tigri hanno continuato a combattere senza speranza.



 





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