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sabato 30 marzo 2019

I primi 50 paesi in cui è pericoloso seguire Gesù

Per decenni, la Corea del Nord è stata chiaramente la peggiore persecutoria dei cristiani. Ma ora, un'altra nazione quasi si abbina.
Open Doors ha rilasciato oggi la World Watch List (WWL) del 2018, una classifica annuale dei 50 paesi in cui è più pericoloso seguire Gesù. Circa 215 milioni di cristiani ora sperimentano alti, altissimi o estremi livelli di persecuzione; ciò significa che 1 cristiano su 12 vive dove il cristianesimo è "illegale, proibito o punito", secondo i ricercatori di Open Doors.
Il paese di Kim Jung-un non si è spostato dal primo posto nell'elenco per 16 anni consecutivi. "Con oltre 50.000 prigionieri o campi di lavoro, una tale posizione è una piccola sorpresa per il regime totalitario che controlla ogni aspetto della vita nel paese e costringe all'adorazione della famiglia Kim", ha riferito Open Doors.
Ma rivaleggiare quest'anno è l'Afghanistan, che si è classificato al secondo posto con meno di un punto. Il punteggio totale della Corea del Nord era 94 (su una scala di 100 punti), spinto al di sopra del 93 dell'Afghanistan di una differenza di 0.6 nella valutazione della violenza. Nelle altre cinque categorie misurate - vita privata, vita familiare, vita comunitaria, vita nazionale e vita ecclesiastica - entrambi i paesi hanno ottenuto il punteggio peggiore possibile.
"Mai prima d'ora i due principali paesi sono stati così vicini agli incidenti", ha dichiarato David Curry, presidente e CEO di Open Doors USA. "Entrambi i paesi sono estremi nell'intolleranza e nella totale persecuzione dei cristiani in ogni area dei monitor delle porte aperte".
La crescente persecuzione in Afghanistan "è una tragedia considerando che gli sforzi compiuti dalla comunità internazionale per aiutare a ricostruire l'Afghanistan non garantiscono la libertà di religione", ha affermato Curry. "I rapporti di violenza e le atrocità dei diritti umani dalla Corea del Nord sono pervasivi, mentre la situazione affrontata dai cristiani in Afghanistan può essere sottovalutata. Per gli occidentali è difficile immaginare che un secondo paese potrebbe quasi incontrare i livelli di persecuzione visti in Corea del Nord, ma quest'anno l'Afghanistan ha raggiunto quel livello ".
L'Afghanistan è quasi sempre stato tra i primi 10, segnando la quinta peggiore complessiva in 25 anni di ricerca sulle porte aperte. Negli ultimi anni, il paese a maggioranza musulmana si sta facendo strada dal n. 6 nel 2015 (81 punti) al n. 4 nel 2016 (88 punti) al n. 3 nel 2017 (89 punti).




Dove è la persecuzione il più violento?


Seguendo alcuni punti dietro al numero 5, il vicino dell'Afghanistan, il Pakistan, ha registrato il maggior numero di violenze contro i cristiani lo scorso anno. Il Paese ha anche ottenuto il punteggio più alto negli attacchi alle chiese, ai rapimenti e ai matrimoni forzati, secondo la Open Doors.
Di recente ha anche attirato l' ira del presidente Donald Trump, che la scorsa settimana ha tagliato gli aiuti militari pakistani per le frustrazioni con la presunta assistenza pakistana fornita ai terroristi in Afghanistan. Lo stesso giorno, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato l' aggiunta del Pakistan a una nuova "speciale lista di controllo" di governi o entità che "impegnano o tollerano" gravi violazioni della libertà religiosa, ma non sono abbastanza cattive per essere nominate "paese di particolare preoccupazione. "
Nigeria (n. 14), dove opera Boko Haram, e Repubblica Centrafricana (n. 35) al secondo e terzo posto per violenza. La Commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa internazionale ha raccomandato che il Dipartimento di Stato aggiunga Pakistan, Nigeria e Repubblica Centrafricana all'elenco dei "Paesi che destano particolare preoccupazione" (finora non sono stati aggiunti).

Qual è la più grande minaccia per la Chiesa perseguitata?

A completare la top 10, seguendo la Corea del Nord e l'Afghanistan, ci sono la Somalia (n. 3), il Sudan (n. 4), il Pakistan (n. 5), l'Eritrea (n. 6), la Libia (n. 7), l'Iraq ( No. 8), Yemen (n. 9) e Iran (n. 10).
Non è una coincidenza che tutti questi paesi, eccetto la Corea del Nord e l'Eritrea, siano prevalentemente musulmani. In effetti, "l'estremismo islamico rimane il motore globale e dominante della persecuzione, responsabile dell'avvio dell'oppressione e del conflitto in 35 dei 50 paesi della lista", ha dichiarato Open Doors.
Il movimento islamista è "la parte dell'Islam che abbraccia una chiara agenda politica per portare le nazioni sotto la dominazione musulmana e la shari'ah", secondo Open Doors. Il movimento ha tre parti: individui e reti che usano la violenza per far avanzare i loro obiettivi politici; coloro che rifiutano qualsiasi sistema basato sulla legge non islamica ma che non sono violenti; e coloro che interagiscono con la società votando o facendo campagne per la legge islamica.
"Il movimento islamista si manifesta nei paesi a maggioranza musulmana cercando di radicalizzare la società, e nei paesi delle minoranze musulmane, radicalizzando le comunità musulmane", ha dichiarato Open Doors.
Un esempio: "Ogni giorno sei donne vengono violentate, molestate sessualmente o costrette a sposarsi con un musulmano minacciato di morte a causa della loro fede cristiana", ha riferito Open Doors. Questo numero è probabilmente basso, poiché include solo gli incidenti riportati. Indica anche la doppia persecuzione sia per il genere che per la religione - che le donne cristiane affrontano in gran parte del mondo.
La maggior parte dei paesi nell'elenco ha registrato un aumento generale delle persecuzioni dal 2016 al 2017 (30 su 50). Cinque dei sei paesi in cui la persecuzione è aumentata di più sono stati i musulmani maggioritari, con la notevole eccezione dell'India, che è passata dal numero 15 del 2017 al numero 11 del 2018.

Qual è la più recente minaccia per la chiesa perseguitata?

"L'induismo radicale e il nazionalismo indiano sono fattori trainanti nei crescenti livelli di disordini e instabilità che i cristiani devono affrontare", ha riferito Open Doors. "Nel 2014, l'India ha ottenuto solo 55 punti, mentre durante il periodo di riferimento del 2018, i ricercatori della [WWL] hanno assegnato 81 punti alla nazione, uno degli aumenti più rapidi e più intensi visti."
Il nazionalismo indù dell'India è cresciuto dall'elezione  del nazionalista Narendra Modi al primo ministro nel 2014, ed è stato evidenziato dall'elezione del presidente nazionalista Ram Nath Kovind la scorsa estate.
Sotto Modi, le violazioni della libertà religiosa contro i cristiani - come l'esclusione sociale, l'abuso e la detenzione - si sono diffuse senza controllo. Nel 2017, Open Doors ha contato oltre 600 episodi di persecuzione, anche se "la maggior parte dei casi in realtà non viene riportata, quindi il numero reale è molto più alto", ha detto l'organizzazione. (Allo stesso tempo, i 589 centri indiani di Compassion International che servono 145.000 bambini sono stati chiusi senza spiegazioni).
Il nazionalismo religioso dell'India è cresciuto oltre i suoi confini, riversandosi nel vicino Nepal e catapultando quel paese nella lista - e a metà, al numero 25. A ottobre, il Nepal a maggioranza Hindu ha preso di mira l'evangelizzazione criminalizzando la conversione religiosa; il Pew Research Center ha notato una crescente ostilità sociale già nel 2015.
Il nazionalismo buddista in paesi come lo Sri Lanka (n. 44), il Bhutan (n. 33) e il Myanmar (n. 24) è meno ovvio ma è ancora lì. I genitori devono mandare i propri figli nelle scuole buddiste, dove i bambini devono imparare a conoscere il buddismo e partecipare ai suoi rituali, ha detto Open Doors. E ai cristiani vengono spesso negati i permessi per affittare un posto dove tenere i servizi di culto.
Il vicino Vietnam (n. 18) e la Cina (n. 43) possono anche essere luoghi difficili per i cristiani, non a causa del nazionalismo religioso, ma perché il comunismo considera la religione un "oppio per le masse" che dovrebbe essere eliminata.
In Vietnam, i livelli di violenza sono diminuiti, ma ciò non ha portato l'Open Doors all'ottimismo. "Mentre è bene che nessun cristiano muoia per la sua fede in Vietnam, le autorità continuano a reprimere i cristiani delle minoranze etniche e inizieranno ad attuare una nuova legge sulla religione nel 2018 per tutti i cristiani".

Qualche buona notizia per la chiesa perseguitata?

Oltre al Nepal, l'Azerbaigian è entrato nella lista quest'anno (n. 45). Hanno sostituito i paesi dell'Africa sub-sahariana delle Comore e della Tanzania, che si sono classificati rispettivamente al 42 ° e al 33 ° nel 2017.
"La Tanzania è l'esempio più accattivante di un paese in cui la situazione dei cristiani è notevolmente migliorata", ha dichiarato Open Doors. Il Paese a maggioranza cristiana stava lottando contro una minoranza musulmana che stava diventando più radicale quando il presidente John Magufuli fu eletto nel 2015.
"La sua amministrazione ha fatto un serio lavoro di riduzione dei gruppi islamici radicali", ha detto Open Doors. "Molti leader sono stati catturati e altri si sono nascosti. La violenza contro i cristiani è diminuita molto ".
La Tanzania è stato il miglior caso di miglioramento. Sebbene i punteggi in Etiopia (n. 29) e in Kenya (n. 32) siano entrambi diminuiti a causa di musulmani e cristiani che hanno trovato un terreno comune in politica, entrambe le nazioni hanno visto anche più violenza.
Le violenze dell'Etiopia erano dirette contro musulmani e cristiani che protestavano contro il governo, chiedendo più democrazia e una fine alla corruzione. In Kenya, il gruppo islamico radicale al-Shabaab ha ucciso più di 30 cristiani, decapitando molti. "Questa sembra essere una nuova tattica per instillare la paura nella comunità cristiana e convincerli a fuggire in massa", ha osservato Open Doors.
La Siria è un altro paese in cui meno rapporti di violenza contro i cristiani non sono stati motivo di celebrazione. Mentre è passato dal numero 6 al numero 15, e mentre l'ISIS ha perso la maggior parte del suo territorio, è difficile ottenere precisi numeri di persecuzione dal paese devastato dalla guerra. Inoltre, molti dei cristiani del paese sono già fuggiti.
" La violenza anti cristiana non è scomparsa", ha detto Open Doors. "C'erano ancora cristiani siriani che venivano rapiti, abusati fisicamente e sessualmente, in fuga dalle loro case e dal loro paese".
Le classifiche di Open Doors sono uscite una settimana dopo che il Dipartimento di Stato ha pubblicato la sua lista di paesi di particolare interesse - quelli che hanno "praticato o tollerato violazioni particolarmente gravi della libertà religiosa".
Come Open Doors, il Dipartimento di Stato ha contrassegnato principalmente paesi mediorientali e asiatici: Birmania, Cina, Eritrea, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. La sua lista era la stessa dell'anno scorso.
CT ha precedentemente riportato le classifiche WWL per il 2017 , il 2016 , il 2015 , il 2014, il 2013 e il 2012 , includendo un riflettore su dove è più difficile credere . CT ha anche chiesto agli esperti se gli Stati Uniti appartengono agli elenchi di persecuzione e hanno compilato le storie più lette della chiesa perseguitata nel 2015, 2016 e 2017.





mercoledì 27 marzo 2019

Lo scontro tra Italia e Kenya sulle ricerche di Silvia Romano




Le difficoltà che stanno incontrando da mesi le autorità italiane per partecipare alle ricerche di Silvia Romano, la cooperante italiana di 23 anni rapita da tre uomini armati nel villaggio kenyano di Chakama, nel sud del paese, lo scorso 19 novembre. Secondo Sarzanini i carabinieri del Ros avrebbero chiesto più volte alle autorità kenyane di potersi unire alle indagini, senza mai ricevere risposta. Le ricerche di Romano sono in una fase di stallo, nonostante l’arresto di uno dei sequestratori avvenuto in Kenya lo scorso dicembre.
L’ultima richiesta per essere autorizzati a inviare un pool di investigatori a Nairobi è stata trasmessa via Interpol tre giorni fa. Ma, ancora una volta, dalle autorità locali non è giunta alcuna risposta. E così si è inasprito lo scontro tra Italia e Kenya sulla sorte di Silvia Romano, la ragazza di 23 anni volontaria per la Onlus «Africa Milele», rapita il 20 novembre scorso mentre si trovava nel villaggio di Chakama. Anche perché dallo Stato africano non è giunta alcuna notizia sulla sorte della giovane e con il trascorrere dei giorni aumentano i timori, alimentati del resto anche dalle dichiarazioni di una settimana fa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «Posso dire che c’è stato un momento in cui sono stato confidente che si potesse avere un risultato positivo a portata di mano. I gruppi criminali sono stati individuati, ma non siamo ancora riusciti a venirne a capo e a raggiungere quel risultato per cui lavoriamo da mesi».



La prima istanza era stata presentata dai carabinieri del Ros appena qualche ora dopo la cattura di Silvia. In una lettera inviata al capo della polizia keniota, il generale Pasquale Angelosanto — d’accordo con il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e con il pm Sergio Colaiocco — aveva chiesto di poter partecipare alle indagini con un gruppo di investigatori specializzati che sarebbero partiti da Roma. Non aveva ricevuto alcuna risposta e così in questo periodo sono stati inviati numerosi solleciti, anche sfruttando i canali diplomatici. Tentativi che non hanno mai avuto riscontro, nonostante le difficoltà mostrate dagli investigatori locali che avevano assicurato di poter chiudere la vicenda in pochi giorni e invece si sono dovuti arrendere di fronte al fallimento delle indagini. E questo nonostante l’arresto di Ibrahim Adan Omar, uno dei sequestratori catturato nel villaggio di Bangale, nella contea di Tana River






martedì 26 marzo 2019

Antonio Pelle, boss di 'ndrangheta - Kings of Crime





Tutto ha inizio in Aspromonte. È qui che affonda le sue radici la più misteriosa tra le mafie: la 'ndrangheta. È qui che inizia la storia del più enigmatico dei suoi boss: Antonio Pelle.

Ve la racconto in questa puntata di Kings of Crime
Raccontato da Saviano, bravo a raccontare vicende di cronaca criminale, meno bravo e capace quando tenta di influenzare i suoi lettori e cittadini nella politica nazionale italiana, li si dovrebbe fare da parte e continuare a fare quello per qui è emerso, raccontare cronaca criminale, mafia, camorra, ndrangheta, sacra corona unita, una critica e un complimento per lui.






domenica 25 marzo 2018

CROAZIA, BRUNO BOBAN MUORE IN CAMPO/ Ultime notizie, video: le condoglianze del Marsonia, "Riposa in pace"




CROAZIA, BRUNO BOBAN MUORE IN CAMPO/ Ultime notizie, video: le condoglianze del Marsonia, "Riposa in pace"

Tragedia in Croazia: Bruno Boban, calciatore del Marsonia in terza divisione, è morto in seguito ad un collasso avvenuto sul terreno di gioco durante una partita del suo Marsonia  A tre settimane dalla morte di Davide Astori, il mondo del calcio è nuovamente in lutto in seguito alla morte in campo di Bruno Boban, attaccante 25enne del Marsonia, durante la partita contro il Pozega Slavonja, nella terza categoria croata. Le immagini parlano chiaro: il giovane cede la palla in attacco ad un compagno che entra in area, ma quando l'azione di perde lui si accascia in campo e crolla, portandosi le mani sulla testa. Dramma tra i suoi compagni mentre l'arbitro allertava i soccorsi, durati secondo i media croati ben 45 minuti ma senza nessun esito positivo per il 25enne. Una tragedia che inevitabilmente ricorda quanto accaduto a Piermario Morosini, nell'aprile 2012. Dopo la notizia della sua morte, non sono mancate le condoglianze alla famiglia del giovane calciatore e capocannoniere del campionato dove militava, da parte del Marsonia e della Federcalcio croata: "Riposa in pace, Bruno". 





VITTIMA DI UN COLLASSO DOPO UNA PALLONATA

Un’altra tragedia scuote il mondo del calcio: non ci siamo ancora ripresi dallo shock per la morte improvvisa di Davide Astori che, a meno di un mese, dalla Croazia arriva la notizia della morte di Bruno Boban. Il calciatore, 25 anni, ha subito un malore in campo: un collasso al quarto d’ora di gioco della partita tra il suo Marsonia e lo Slavonija Pozega, terza divisione nazionale che ufficialmente si chiama Tréca HNL. Boban è stato colpito da una pallonata al petto, ma molto leggera; l'arbitro ha fischiato un fallo e subito dopo il calciatore si è accasciato sul terreno di gioco. I media della Croazia riportano che abbia perso subito conoscenza e sia stato prontamente soccorso dai medici e dallo staff sanitario presente a bordo campo. Tuttavia, trasportato in ospedale, è deceduto nonostante i tentativi di rianimarlo che sono andati avanti per 40 minuti. La tragedia richiama alla memoria, purtroppo, altre morti occorse in campo: l’ungherese Miklos Feher - nel 2004 - durante una partita tra il Benfica e il Vitoria Guimaraes e, rimanendo in casa nostra, Piermario Morosini che giocava nel Livorno e stava disputando una partita di Serie B a Pescara. All’epoca, ricorderete, c’erano anche state polemiche circa la prontezza dei mezzi di soccorso e soprattutto per la mancanza di un defibrillatore a bordo campo, che avrebbe potuto salvare la vita al calciatore.

LA CARRIERA DI BOBAN

Curiosamente, Boban si era appena trasferito al Marsonia proprio dallo Slavonjia: nella città di Pozega, in Slavonia - nel centro della Croazia - il calciatore era cresciuto facendo anche l ‘esordio in prima squadra. Ad agosto era stato ceduto al NK Zagabria; non giocava tantissimo, ma aveva iniziato a farlo con più continuità con la sua nuova squadra, appunto il Marsonia. Nella sua carriera ci sono 18 partite anche nella prima divisione croata, con la maglia dello Slavonjia; nessun gol per lui, e appena un assist che risale al novembre 2014 in un 2-2 contro l’RNK Spalato. Ha un fratello, Gabrijel Boban, che ha tre anni più di lui e attualmente gioca nell’Osiejk, nel massimo campionato croato (quarta in classifica): maglia numero 7, è titolare della formazione e ha segnato 3 gol con 7 assist nel torneo, mettendo anche a segno una rete nei turni preliminari di Europa League dove la sua squadra è arrivata fino al playoff per entrare nella fase a gironi, venendo eliminata dall’Austria Vienna. E’ un esterno destro offensivo: lo stesso ruolo che ricopriva il povero Bruno. Qui sotto il video a corredo delle informazioni e inserito qui solo per questo contesto; resta chiaramente la tragedia di quanto accaduto.





sabato 3 febbraio 2018

VIDEO: MACERATA Spari da un'auto: quattro feriti. Bloccato un uomo: scende e fa il saluto fascista




Una serie di sparatorie sono in corso a Macerata. I colpi, a quanto si è appreso, sono partiti da un’auto  che sta girando per la città. Quattro i feriti segnalati, di cui uno in corso Cairoli, uno nei pressi della stazione. 
Ci sono due persone di colore tra i feriti nelle sparatorie avvenute a Macerata. Una persona è stata ferita in via Cairoli, l’altra in via Spalato.
I colpi di pistola esplosi a Macerata partono da un’Alfa Romeo 147 nera, con a bordo due persone dalla pelle chiara. Il presunto responsabile delle sparatorie segnalate oggi a Macerata è stato bloccato in piazza della Vittoria, dinanzi al Monumento ai Caduti. Alla vista degli agenti è fuggito a piedi verso la gradinata del monumento, gettando via alcuni indumenti, poi è stato preso. La pistola l'aveva lasciata in macchina. L’uomo è sceso dall’auto, si è tolto il giubbetto, ha indossato una bandiera tricolore sulle spalle, salendo sui gradini del Monumento. Si è poi girato verso la piazza, ha fatto il saluto fascista. Lo ha constato l’ANSA sul posto. Poi sono arrivati i carabinieri e non ha opposto resistenza. A bordo dell’auto la pistola, una tuta mimetica, sul cruscotto piume bianche, appunti a penna e bottiglie d’acqua. Il fermato si chiama Luca Traini, 28 anni, ed è incensurato e originario delle Marche. Quando è stato bloccato dai carabinieri è stato trovato in possesso di una pistola e ha ammesso le proprie responsabilità. 
«Restate in casa è il messaggio" lanciato alla cittadinanza dal sindaco di Macerata Romano Carancini dai profili social del Comune, mentre sono segnalate sparatorie in varie parti della città.



«Per ragioni di sicurezza tutti gli studenti resteranno a scuola e gli autobus del servizio trasporto pubblico fermi». E’ quanto scrive il comune di Macerata su Facebook dopo le sparatorie di questa mattina.






Macerata far west, sparatorie in corso in diversi punti della città: i feriti sono tutti migranti. Fermato un uomo











Il presunto responsabile delle sparatorie contro immigrati a Macerata è stato bloccato in piazza della Vittoria, dinanzi al Monumento ai Caduti: è un italiano residente in città. Alla vista degli agenti è fuggito a piedi verso la gradinata del monumento, gettando via alcuni indumenti, poi è stato preso. La pistola l'aveva lasciata in macchina.Il fermato si chiama Luca Traini, 28 anni, ed è incensurato e originario delle Marche. Quando è stato bloccato dai carabinieri è stato trovato in possesso di una pistola e ha ammesso le proprie responsabilità. L'uomo è sceso dall'auto, si è tolto il giubbetto, ha indossato una bandiera tricolore sulle spalle, salendo sui gradini del Monumento. Si è poi girato verso la piazza, ha fatto il saluto fascista. Lo ha constatato l'ANSA sul posto. Poi sono arrivati i carabinieri e non ha opposto resistenza. A bordo dell'auto la pistola, una tuta mimetica, sul cruscotto piume bianche, appunti a penna e bottiglie d'acqua.















, il video dell’arresto del «Patriota», un “italiano vicino agli ambienti di estrema destra [...] sceso dall'auto con una bandiera dell'Italia legata intorno al collo” (il Resto del Carlino)

(via @palmaget)

Macerata si è trasformata per una mattina in un far west. Una serie di sparatorie in diversi punti. I colpi di pistola esplosi a Macerata sono partiti da un'Alfa Romeo 147 nera. Sei i feriti segnalati, di cui uno in corso Cairoli, uno nei pressi della stazione. Spari anche in via dei Velini e via Spalato, zone toccate dalle indagini per il caso di Pamela Mastropietro. Sono straniere le persone ferite nella sparatoria a Macerata. Lo si apprende da fonti investigative.
Aveva una pistola ed era solo in macchina l'uomo che ha fatto fuoco sui passanti a Macerata, ferendo sei persone, tutti migranti extracomunitari. L'uomo è stato fermato dalle forze dell'ordine al termine di una caccia all'uomo per le vie della città. Si indaga sulle motivazioni all'origine del gesto, non è escluso che l'accaduto sia in qualche modo legato alla vicenda di Pamela Mastropietro, la ragazza uccisa nei giorni scorsi a Macerata.
Le vie interessate dalle sparatorie a Macerata sono via dei Velini, via Cairoli, via Spalato, piazza della Stazione, tutte vie del centro della città, dove si è sparso il panico.
"Restate in casa" è stato il messaggio lanciato alla cittadinanza dal sindaco di Macerata Romano Carancini dai profili social del Comune.














in corso attacco armato ,sparì da automobile contro persone di colore, ecco uno dei colpiti in via Velini


lunedì 22 gennaio 2018

VIDEO: La Turchia invade la Siria e attacca i kurdi ad Afrin, Sarà una nuova Kobanê?

Bombardamenti turchi su molti centri abitati. Missili kurdi colpiscono Reyhanli e Kilis






Il 20 gennaio 72 caccia dell’esercito di occupazione turco hanno bombardato  il cantone kurdo siriano di Afrin  colpendo almeno 153 obiettivi, inclusi anche il centro città di Afrin, il campo per sfollati interni di Rubar, i villaggi di Şera, Şerawa, Raco, Kurdo, Şengiliye, Şeyxura, Xezawiye, Kifera, Hac Hesna. e Bilbila e posizioni delle milizie kurde dellUnità di protezione opolare (Yekîneyên Parastina Gel – Ypg) e delle Unità di difesa delle donne (Yekîneyên Parastina Jin . Ypj) e delle Syrian Democratic Forces (sdf) che hanno respinto un primo tentativo di invasione via terra nel villaggio di Baliyen, uccidendo almeno 6 soldati turchi. I morti civili nei bombardamenti turchi sarebbero almeno 6 e tra le Ypg/Ypj/Sdf si conterebbero 3 vittime.







L’intenso attacco aereo è servito per aprire la strada ad una nuova invasione della Siria da parte dell’esercito turco appoggiato dalle milizie jihadiste e dell’ al-jaysh al-sūrī al-ḥurr (Free Syra Army – Fsa ) che Ankara sostiene e arma fin dall’inizio della guerra siriana, scontrandosi subito duramente con la resistenza delle Ypg/Ypj.  Inoltre i kurdi avrebbero contrattaccato lanciando 11 missili (fonti di Ankara) contro la città turca di Reyhanli, nella provincia di Hatay, facendo una vittima e ferendo 30 turchi e 17 siriani. Quattro missili delle Ypg avrebbero colpito anche il villaggio turco di Kilis.
Il comando generale delle Ypg ad Afrin ha denunciato in un comunicato: «Sappiamo che, senza il permesso delle forze internazionali e principalmente della Russia, le cui truppe sono localizzate ad Afrin, la Turchia non può attaccare i civili usando lo spazio aereo di Afrin. Riteniamo, pertanto, la Russia è responsabile tanto quanto la Turchia e sottolineiamo che la Russia è complice della Turchia nel massacro dei civili nella regione. Noi, come Comando Generale delle Ypg ad Afrin, affermiamo che la Turchia non può sconfiggere la nostra libera volontà e resistenza con i suoi arei da guerra. Si vede che, fino a questo momento, nessuno è fuggito da Afrin e ha abbandonato la propria patria. Su queste basi, ancora una volta ribadiamo la nostra determinazione a proteggere la nostra terra e il nostro popolo. Le Unità di difesa del popolo e le Unità di difesa delle donne difenderanno Afrin in qualunque circostanza contro il fascismo turco. Facciamo appello alla nostra gente affinché si unisca ai ranghi della difesa».
Quanto dicono i kurdi è confermato dal fatto che mentre l’esercito turco bombardava Afrin la Russia ritirava i suoi soldati dalla città, abbandonando la base militaire di Minix ei depositi di petrolio nel centro della città, che sono stati i principali obiettivi degli attacchi aerei. Inoltre i turchi hanno annunciato di aver bombardato il piccolo aeroporto diMenagh, sempre a Afrine, che sarebbe stato utilizzato dalla Coalizione a guida Usa per rifornire di armi i kurdi.
Il comando delle Sdf ha dichiarato che «L’Attacco turco offre nuove opportunità dallo Stato Islamico/Daesh. Noi vogliamo che la Turchia metta immediatamente fine alle sue minacce e ai suoi attacchi. Chiediamo alla comunità internazionale di dare importanza alla lotta contro lo Stato Islamico e a trovare una soluzione politica per la crisi siriana». Il Consiglio esecutivo della Federazione della Siria del Nord (l’area siriana sotto controllo della coalizione tra kurdi e forze progressiste arabe e di altre etnie) ha lanciato un appello alla resistenza: «Invitiamo i Kurdi della 4 parti a uscire nelle strade a ad opporsi a questi attacchi barbari».
Il nome scelto per l’operazione militare, “ramo di ulivo”, dallo stato maggiore turco è una beffa e il rappresentante del Kurdistan siriano a Mosca, Rodi Osman, ha detto a Ria Novosti/Sputnik di aver chiesto alla Russia di intervenire per fermare i turchi: «Le forze aeree turche hanno bombardato Bulbul. L’approvazione di questa operazione contro Afrin è un grave errore. La Russia deve intervenire per fermare l’operazionee annullare il via libera dato alla Turchia. La Russia non deve stare al fianco di questo regime. E’ notorio che il regime fascista turco eè un focolaio e un complice dei terroristi. Il sostegno all’operazione militare turca e l’occupazione di Afrin da parte dei turchi mettono in pericolo la vita di circa un milione di persone. Sulla popolazione pesa la minaccia di un massacro».
Ieri Ankara ha annunciato che i suoi carri armati erano entrati nella regione di Afrin in approggio alle milizie del Free Syra Army in un’operazione contro unità kurde  che si sarebbero ritirate senza opporre resistenza. Ma  Osman – e i filmati postati dai kurdi su YuoTube – smentisce che i turchi abbiano sfondato le difese Ypg/Ypj/Sdf, che invece opporrebbero una feroce resistenza.
Quel che è certo è che i media russi e turchi confermano che prima della nuova invasione della Siria il Capo di stato maggiore turco Hulusi Akar aveva sentito telefonicamente i suoi omologhi russo Valeri Guerassimov e statunitense Joseph Dunford per avvertirli dell’avvio dell’attacco aereo e terrestre e che il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha subito giustificato l’invasione turca dicendo che «Le scelte fatte da Washington in Siria in maniera unilateralr hanno reso furiosa la Turchia, Numerosi politologhi dicono che gli Usa continuano a confermare la loro incapacità di trovare dei compriomessi, il loro ruolo distruttivo negli affari internazionali, che sia in Iran o in Siria, dove hanno intrapreso delle scelte unilaterali hanno già fatto arrabbiare la Turchia», regime noto per non compiere scelte unilaterali…
Certo che Mosca non può che gongolare per il fatto che due Paesi della Nato –  e quello che fino a poco tempo fa era l’alleato strategico di Washington ai confini russi  – si trovino oggi in guerra per difendere le interposte milizie e che gli Usa di Donald Trump siano riusciti ad entrare nella capitale dello Stato Islamico Raqqa solo grazie alle stesse forze “comuniste” kurde che Ankara sta bombardando in queste ore. Ieri il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha intimato addirittura agli Stati Uniti: «Non portate attacchi alle nostre frontiere. Altrimenti perderemo la pazienza. Lo avevo già detto al venerabile Obama. Avvertimento che non ha mai ottenuto risposta. Si tratta della nostra lotta di popolo». Erdogan ha ricordato che gli Usa  in Siria sostengono le formazioni armate kurde che la Turchia ritiene terroristi e ha accusato gli anericani aver «inviato ai kurdi siriani 5.000 camion pieni di armi».
Se Mosca fa il gatto fra le botti e invita le parti in conflitto a mantenere la calma – cosa abbastanza difficile mentre ti bombardano – la Siria non l’ha presa per niente bene e il presidente Bashir al-Assad ha detto all’agenzia ufficiale Sanache «L’offensiva brutale della Turchia contro la città siriana di Afrine si inscrive nella politica condotta dal fregime turco fin dal primo giorno della crisi siriana. Consiste essenzialmente nel sostegno al terrorismo e ai gruppi terroristici conosciuti sotto diversi nomi». L’irritazione per il lasciapassare di Vladimir Putin a Erdogan non potrebbe essere più chiara.
Ma la nuova invasione turca della Siria non sarà una passeggiata: il portavoce delle Ypg, Nuri Mehmud, ha detto all’agenzia ufficiale kurda Anf che  «La guerra civile siriana, che si era detta terminata, è ripresa in queaste ultime settimane e il presidente turco Tayyip Erdoğan sta negoziano  Afrin». Mehmud ha avvertito l’esercito turco: che si sta davvero se sogna di conquistare Afrine entro una settimana.
Il portavoce kurdo spiega che «L’operazione condotta dal regime siriano del Baath [il partito di Assad, ndr], con il sostegno aereo della Russia, per annientare la provincia di Idlib nel nord, provincia dove si trovano le organizzazioni Hayat Tahrir Al Sham (Al Nusra) e Ahrar Al Sham, legate ad Al-Qaida, ha attirato l’attenzione sulla Siria. Il regime del Baath che marcia su Idlib ha suscitato inquietudini ad Ankara. L’esercito turco è entrato a Idlib con il favore dell’accordo “zona senza conflitto” concluso tra l’Iran, la Russia e la Turchia durante i colloqui di Astana 8, e ha accelerato i suoi piani di attacco contro Afrin insieme alle organizzazioni terroristiche della  regione». Ma nelle ultime ore l’esercito di Assad ha ripreso la sua marcia cerso Idlib, probabilmente per avvertire Ankara che non è più disposto a tollerare invasioni del suo territorio,
Secondo  la coalizione internazionale guidata dagli Usa, Erdoğan ha messo insieme un esercito di 30.000 uomini per attaccare il cantone kurdo  e Mehmud  spiega che «Il governo dell’Akp (Adalet ve Kalkınma Partisi, il partito di Erdoğan, ndr) vede Idlib come l’ultima chance per sé stesso. Se possono gestire il commercio e gli scambi commerciali a Idlib e Afrin, pensano di poter sopravvivere. Secondo le dichiarazioni di Erdoğan costituiamo una minacciama la resistenza eroica manifestata a Kobanê dai combattenti che oggi difendono Afrin, ha difeso Parigi, Mosca, New York, Il Cairo e anche Ankara e Istanbul dagli attacchi terroristici».
Alla fine dell’anno scorso Putin aveva annunciato che la guerra in Siria era finita ma il 2018 è cominciato con l’offensiva russo-siriana su Idib e con gli interventi turchi sul suolo siriano in aree dove la guerra non c’era più da tempo, il tutto sottto la copertura dell’accordo di Astana e in appoggio ai suoi alleati delle milizie sunnite in evidente difficoltà e ormai completamente screditati, deponendo così il ramoscello di olivo offerto a Bashir al-Assad dopo aver tentato per anni in tutti i modi di defenestrarlo insieme agli americani, oggi alleati dei Kurdi che con Assad vorrebbero farci un accordo per una Siria federale.
L’accordo tra Turchia, Russia e Iran ha permesso a Erdoğan di salvare quel che rimaneva delle milizie jihadiste e di utilizzarle in funzione anti-kurda ed anti-progressista, spesso con evidenti complicità con lo Stato Islamico/Daesh, a partire dal fallito assedio di Kobanê.  Le preoccupazioni della Turchia per un’offensiva del regime di Damasco contro l’ultimo rifugio dei jihadisti di Al-Qaida è la dimostrazione più lampante  di cosa sia per Ankara “la pace” e di quanto sia terrorizzata dalla possibile nascita di una Siria federale con una regione governata autonomamente dai kurdi e dai loro alleati progressisti. E’ stato proprio l’Akp a dire ufficialmente: «L’esistenza della Siria del Nord significa che cesseremo di esistere».
Ma il portavoce kurdo avverte: «Le forze regionali che hanno un approccio semplicistico verso Afrin devono sapere che è la continuazione di Kobanê. I popoli del mondo che hanno combattuto con Kobanê hanno la stessa posizione su Afrin. Afrin non è sola. Non è del tutto sorprendente che gli Stati che pretendono di poter proteggere i loro interessi attraverso i negoziati su Afrin e Idlib abbiano lo stesso atteggiamento dello Stato Islamico. Perché Afrin è la speranza per i popoli del mondo che vogliono la democrazia, la pace e una soluzione. E’ perché, agli occhi dell’opinone pubblica internazionale, Afrin non è un luogo dove attuare un approccio semplice. D’altra parte,  Afrin si è organizzata molto bene per la difesa. Se l’esercito turco pensa di poter entrare ad Afrin in una settimana, sogna. L’esercito turco deve prima di tutto vedere la realtà dei popoli della Turchia. I popoli della Turchia non hanno  ma abbandonato Serekaniye [un’altra città kurda assediata, ndr) né Kobane. Hanno protetto la resistenza con molti sacrifici e hanno svolto un ruolo importante. I popoli della Turchia hanno apportato un grande sostegno a Serekaniye e Kobanê contro il  terrore. E’ per questo che l’esercito, che dovrebbe difendere i popoli della Turchia, viene utilizzato nell’interesse del governo Akp».