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lunedì 11 maggio 2015

Il re saudita Salman boicotta il vertice di Obama con i paesi del Golfo




Il re dell’Arabia Saudita e altri tre capi di stato della regione non parteciperanno al vertice tra Stati Uniti e i sei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, convocato da Barack Obama per il 13 e 14 maggio alla Casa Bianca e a Camp David. L’intenzione dell’amministrazione statunitense è quella di rafforzare i legami con le potenze sunnite della regione nonostante l’avanzamento delle trattative con Teheran sul programma nucleare iraniano. Ma solo gli emiri di Qatar e Kuwait hanno confermato la loro partecipazione al summit.






Fino a venerdì la Casa Bianca aveva assicurato che re Salman sarebbe arrivato negli Stati Uniti per “riprendere le consultazioni su una serie di questioni regionali e bilaterali”, nelle parole del portavoce Eric Schultz. Poi nel fine settimana l’agenzia di stampa filogovernativa saudita Spa ha fatto sapere che il re non sarà presente ai colloqui con Obama e manderà invece il principe ereditario Mohammed bin Nayef oltre al figlio minore, l’attuale ministro della difesa, Mohammed bin Salman, che è anche il regista dell’offensiva militare in corso in Yemen. Pretesto ufficiale della defezione, la coincidenza dei tempi “con l’annunciato cessate il fuoco umanitario in Yemen e l’inaugurazione di un centro per gli aiuti umanitari intitolato al re Salman”.
Anche il re del Bahrein, Hamad bin Isa al Khalifa, sarà sostituto dal principe ereditario, stando a quanto riferito da fonti ufficiali. Saranno assenti per malattia, invece, il sultano dell’Oman, Qaboos Bin Said, che sarà rappresentato dal suo vicepremier, e il presidente degli Emirati arabi uniti, Sheikh Khalifa bin Zayed al-Nahyan, sostituito dal principe ereditario di Abu Dhabi. Al vertice, gli Stati Uniti cercheranno di rassicurare i governi del Golfo, preoccupati per il crescente disimpegno di Washington nella regione e per l’eventualità di un accordo entro giugno tra gli Stati Uniti e l’Iran.



giovedì 23 aprile 2015

VIDEO: Obama: mia la responsabilità per il raid costato la vita a Lo Porto e Weinstein





Raid Usa fatale: ad uccidere Giovanni Lo Porto fu un drone della Cia

Il cooperante italiano scomparso in Pakistan è rimasto vittima di un'operazione antiterroristica contro Al Qaeda in gennaio. Obama: "La responsabilità è solo nostra"



E’ morto Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano in Pakistan di cui si erano definitivamente perse le tracce dal 19 gennaio 2012. Lo annuncia il Governo americano, specificando come la tragedia è avvenuta in gennaio nel corso di un’operazione antiterroristica contro Al Qaeda.
Da quanto si apprende, l’attacco è stato condotto da un drone della Cia. La Casa Bianca ha aggiunto che insieme a Lo Porto è rimasto ucciso un secondo ostaggio di al-Qaeda, lo statunitense Warren Weinstein. Nell’operazione è stato ucciso anche Ahmed Farouq, cittadino americano tra i leader dell’organizzazione terroristica. Lo Porto, 39 anni, si trovava nella regione per la ong Welt Hunger Hilfe (Aiuto alla fame nel mondo) e si occupava della costruzione di alloggi di emergenza nel sud del Punjab.
Mi assumo tutta la responsabilità di queste operazioni anti-terrorismo in cui è morto Giovanni Lo Porto, il governo Usa chiede scusa
La Casa Bianca. Così è intervenuto il presidente Usa Barack Obama: “Ho parlato ieri col primo ministro italiano Matteo Renzi dell’uccisione dell’ostaggio Giovanni Lo Porto – ha proseguito – I nostri pensieri vanno alle famiglie di Warren Weinstein, americano prigioniero di al Qaeda dal 2011, e Giovanni Lo Porto, un cittadino italiano ostaggio di al Qaeda dal 2012″, ha detto il presidente. “Nessuna parola può esprimere appieno il nostro rammarico per questa terribile tragedia – ha aggiunto – come marito e come padre posso solo immaginare il dolore e l’angoscia che stanno provando le due famiglie per la perdita dei loro cari. Il loro esempio sarà una luce per chi è rimasto”.
La reazione del premier italiano. “L’Italia porge le più sentite condoglianze alla famiglia di Giovanni Lo Porto”, ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi che esprime “profondo dolore per la morte di un italiano, che ha dedicato la sua vita al servizio degli altri”.
L’operazione. La Casa Bianca ha sottolineato che l’operazione è stata condotta in osservanza delle politiche anti terrorismo e che sono in corso indagini che comprendere cosa sia avvenuto e come impedire che possano ripetersi altri incidenti in futuro. “A volte si fanno errori mortali, ma una delle cose che rende eccezionali gli Stati Uniti è la nostra volontà di imparare dai nostri errori, sto aspettando una relazione di cio che è successo per chiarire che lezione dobbiamo imparare, faremo di tutto per non ripetere questi errori ed evitare la perdite di vite innocenti”, ha detto il presidente, collegato dalla Casa Bianca.



martedì 10 marzo 2015

VIDEO: Il Venezuela non si piega agli USA, Obama firma una serie di sanzioni





Nuova svolta nei rapporti bilaterali tra Stati Uniti e Venezuela. Il presidente americano 
Barack Obama ha firmato ieri un decreto con nuove sanzioni per sette funzionari del governo venezuelano di Nicolás Maduro. Secondo gli analisti, il documento ha un linguaggio inusuale e molto duro: per la prima volta le misure sono nominative e nel testo si dichiara lo stato di“emergenza nazionale” per la situazione politica venezuelana e si indica il Venezuela come una“minaccia per la sicurezza nazionale statunitense”. Ma perché?
Secondo il segretario del Tesoro americano, Jack Lew, sette membri del governo venezuelano hanno partecipato “all’arresto o processo giudiziario di persone che volevano esercitare il diritto alla libertà di espressione” e “in atti di violenza contro manifestanti dell’opposizione”. I sanzionati sono il comandante della Regione di difesa integrale centrale (REDI Central), Antonio Benavides Torres; il direttore della Polizia politica SEBIN, Gustavo González López; il presidente della Corporazione venezuelana di Guayana ed ex comandante della Guardia Nacional, Justo Noguera Pietri; il pubblico ministero Katherine Haringhton; il direttore della Polizia Nazionale Bolivariana, Manuel Pérez Urdaneta; il comandante della 31° brigata armata dell’Esercito, Manuel Bernal Martínez e l’ispettore generale delle Forze armate, Miguel Vivas Landino.
Per i senatori Robert “Bob” Menéndez e Marco Rubio deve essere incluso anche il ministro della Difesa, Vladimir Padrino López, per avere ordinato la rappresaglia contro una manifestazione pacifica dove è morto uno studente di 14 anni per mano della polizia, l’uso di armi militari contro le manifestazioni a favore dell’ordine pubblico.
Nel comunicato stampa, la Casa Bianca ha chiesto “la liberazione di tutti i prigionieri politici, includendo decine di studenti, il leader dell’opposizione Leopoldo López  e i sindaci Daniel Ceballos e Antonio Ledezma”.



Il governo americano ha accusato il presidente Maduro di violare la dichiarazione dell’Organizzazione degli Stati Americani “e altri strumenti fondamentali di democrazia e diritti umani”. Ha anche rimproverato al governo di “cercare di distrarre l’attenzione dalle sue azioni colpevolizzando gli Stati Uniti”.
Per Harold Trinkunas, direttore del programma America latina del Centro studi Brookings, queste dichiarazioni della Casa Bianca sono diverse da altri perché i funzionari sanzionati sono stati identificati.
Il procedimento legale è stato già applicato ad Iran, Siria e Birmania e ad altri regimi considerati da Washington ostili e pericolosi per la pace mondiale. Anche verso Ucraina, Sud Sudan, Repubblica Centroafricana, Yemen, Libia e Somalia sono state applicate misure simili. Secondo la Bbc quando il presidente degli Stati Uniti firma l’ordine nel quale dichiara uno stato di emergenza, ottiene una serie di poteri speciali per l’applicazione di sanzioni e il blocco di beni e proprietà in territorio americano.
Oltre a bloccare una rete di corruzione venezuelana con base negli Stati Uniti, queste misure contribuiranno ad annullare possibili conflitti in America latina. La Casa Bianca ha lamentato come il Paese sudamericano si stia allontanando dagli Stati Uniti in un momento in cui la regione sta facendo il contrario. Ma secondo David Smilde del Washington Office on Latin America queste nuove sanzioni americane rafforzano la teoria del governo venezuelano di un intervento militare degli Stati Uniti in Venezuela.
La risposta del presidente Maduro è stata immediata. E come al solito, trasmessa a rete unificata in radio e tv. “Il governo americano vuole farmi cadere. È questo il mandato. È l’anticamera di un intervento militare”, ha detto. Il presidente del Parlamento, Diosdado Cabello, ha detto che quello che l’amministrazione di Obama “sta pianificando, e dobbiamo dirlo, sono attacchi alla nostra terra, contro il nostro Paese, attacchi militari”.
L’annuncio delle nuove sanzioni americane è arrivato dopo che il governo venezuelano ha ordinato una riduzione del personale diplomatico degli Stati Uniti in Venezuela e imposto la richiesta di un visto speciale per chi vuole viaggiare nel Paese.
Il Washington sostiene che le sanzioni sono contro funzionari specifici e non contro i venezuelani. Non ci saranno conseguenze economiche contro il settore industriale.
L’importazione di petrolio non è inclusa nelle sanzioni. Il Venezuela è il quarto fornitore di greggio degli Stati Uniti e, anche se la produzione è calata negli ultimi mesi, l’acquisto di petrolio per il consumo interno negli Usa continuerà.