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lunedì 24 agosto 2015

Migranti: Vertice franco-tedesco a Berlino. Hollande e Merkel cercano un'iniziativa comune





Oggi pomeriggio la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il presidente francese, 
Francois Hollande, discuteranno a Berlino di immigrazione. L'incontro assume particolare importanza alla luce della questione sbarchi nel Canale di Sicilia e della riapertura della frontiera da parte della Macedonia. I due promettono una "iniziativa per una politica migratoria europea", da sottoporre agli Stati membri nel vertice di Parigi a metà autunno.







Merkel, nei giorni scorsi, si è detta molto preoccupata per l'afflusso record di rifugiati in Germania: potrebbero essere 800mila entro la fine dell'anno. E il vice cancelliere, Sigmar Gabriel, ha parlato a riguardo "della più grande sfida per la Germania dalla Riunificazione". Per parte sua, il ministro degli Interni tedesco, Thomas de Maizière ha dichiarato sempre sul tema migranti: "È inaccettabile che le istituzioni europee lavorino a questi ritmi".
Sul tema immigrazione si è espresso anche il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, in un articolo pubblicato sul quotidianoRepubblica. Il politico lussemburghese, richiamando tutti alle proprie responsabilità, ha ribadito l'esigenza di trovare una soluzione condivisa: "L'Europa fallisce se la paura prende il sopravvento. L'Europa fallisce quando gli egoismi hanno più voce della solidarietà presente in ampie porzioni della nostra società. L'Europa ha successo quando superiamo in maniera pragmatica e non burocratica le sfide del nostro tempo. Spero che assieme - gli stati membri, le istituzioni e le agenzie Ue, le organizzazioni internazionali e i nostri vicini riusciamo a dimostrare che siamo all'altezza delle sfide. Sono convinto che possiamo farcela".
Quello che lascia interdetti, però, è che ancora una volta Parigi e Berlino trattino separatamente dagli altri Stati membri. E le parole di Juncker, come è già accaduto in passato, sembrano tardive e generiche. Il vertice odierno, inoltre, rischia di essere la solita mediazione a ribasso sulle quote migranti e sugli aiuti da stanziare ai paesi in difficoltà.
Mentre un flusso sempre più consistente di persone, provenienti da pesi in guerra, dall'Africa al Medio Oriente, prova ad entrare nei confini continentali, la Ue palesa tutte le sue debolezze strutturali. Una Unione fondata solo sulla moneta a cambio fisso, che non si è preventivamente preoccupata di unificare il mercato del lavoro, i sistemi educativi e la fiscalità potrà trovare risposte condivise sul tema migranti?
Il tentativo di fermare le partenze dai porti libici e la stipulazione di accordi bilaterali con regimi corrotti non riusciranno di certo a fermare l'esodo. Speriamo che quantomeno oggi emergano proposte di solidarietà in ambito U.e e delle sicurezze maggiori su tempi decisionali.



venerdì 29 maggio 2015

VIDEO: Cameron: "Riformare l'Europa". Ma la Francia non è d'accordo





Cameron insiste, Blatter deve dimettersi

LONDRA, 29 MAG - "Il presidente della Fifa Sepp Blatter deve dimettersi". Lo ha ribadito il premier britannico David Cameron in conferenza stampa a Berlino con la cancelliera tedesca Angela Merkel, sottolineando che questa è "la faccia brutta del bel gioco. Prima lascia e meglio è", ha sottolineato. "Non si possono avere accuse di corruzione a questo livello e di questa entità all'interno dell'organizzazione e fingere che la persona al momento al vertice sia quella giusta per portarla avanti".






domenica 8 febbraio 2015

Ucraina, la più pericolosa delle crisi





Ci sono stati conflitti più sanguinosi in Europa e tensioni gravi tra Mosca e Washington, ma oggi Usa e Russia non si capiscono. Così la guerra in Ucraina mette a rischio la pace nel Vecchio Continente. [la Repubblica il 7/2/2015]

La guerra in Ucraina è la crisi più pericolosa vissuta in Europa dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Ci sono certo stati conflitti più sanguinosi, come quelli balcanici negli anni Novanta, ma nessuno ha mai pensato che potessero provocare uno scontro globale.

CI sono state tensioni molto gravi durante gli anni del confronto Est-Ovest, a partire dal blocco di Berlino nel 1948, ma l’equilibrio del terrore e la capacità dei leader statunitensi e sovietici di interpretare le mosse altrui hanno evitato lo scoppio di una “guerra calda” nel cuore del nostro continente. 

Oggi nell’Ucraina orientale, a ridosso del confine russo, si combatte un conflitto indiretto fra Washington e Mosca che divide noi europei mentre mette in questione la pace nel Vecchio Continente. E non solo.

Perché oggi, a differenza degli anni della guerra fredda, russi e americani non si capiscono. Né vogliono capirsi. I “telefoni rossi” non squillano più, o suonano a vuoto. Sarà per l’autismo di Vladimir Putin, che alcuni scienziati noleggiati dal Pentagono vorrebbero affetto da sindrome di Asperger in seguito a un danno neurologico sofferto nel grembo della madre. Sarà per l’indecisionismo di Obama, attribuito da inventivi analisti russi agli effetti della malaria di cui avrebbero sofferto i suoi ascendenti dal ramo paterno, ma che l’ultima dottrina di sicurezza nazionale Usa nobilita, battezzandola “pazienza strategica”.

Sarà infine per l’asimmetria delle percezioni reciproche - in Ucraina i russi sentono di giocarsi la vita o la morte della patria, mentre per gli americani è una partita periferica, ingaggiata con un’inaffidabile potenza regionale che s’illudeva di tornare globale. 

Fatto è che nelle cancellerie europee è scattato l’allarme rosso:bisogna fermare i combattimenti prima che sfuggano completamente di mano e producano la guerra fra Nato e Russia. Di cui l’Europa sarebbe il primario campo di battaglia.

Si spiega così la missione congiunta di Angela Merkel e François Hollande a Kiev e a Mosca. Un inedito: mai la scoppiatissima coppia franco-tedesca si era spesa al massimo livello per salvare la pace in Europa. Berlino e Parigi, come altre capitali europee, fra cui Roma, sono infatti giunte alla conclusione che Mosca e Washington non possono o non vogliono sedare il conflitto. Anzi, potrebbero inasprirlo, innescando un’escalation semiautomatica dalle conseguenze imprevedibili. 

I precedenti non sono incoraggianti. Ricordiamo la fallimentare missione a Kiev dei ministri degli Esteri di Polonia, Germania e Francia, nei giorni caldi di Majdan, che produsse un compromesso con Janukovich rovesciato poche ore dopo dalle milizie armate che avevano preso la guida del movimento popolare di protesta contro quel regime ipercorrotto. La speranza è che stavolta, con la cancelliera e il presidente che ci mettono la faccia, l’esito sia più concreto, meno provvisorio.

Merkel e Hollande sanno bene che la pace subito non è possibile. Il probabile compromesso strategico che la sorreggerebbe appare oggi indigeribile agli Stati Uniti e alla lega nordico-baltica (Svezia, Danimarca, Polonia, Estonia, Lettonia, Olanda, Norvegia e Lituania), che nella litigiosa famiglia euroatlantica esibisce il viso dell’arme contro Mosca. 

Esso infatti implicherebbe lo scambio fra l’integrità territoriale dell’Ucraina - salvo la Crimea che (quasi) nessuno si sogna più di riportare sotto Kiev anche se (quasi) nessuno intende ammetterlo formalmente - e la rinuncia dell’ex repubblica sovietica a entrare nella Nato. Al Donbas più o meno russofilo e ad altre regioni orientali sarebbe concessa una robusta autonomia. Inoltre, l’Ucraina potrebbe aprirsi contemporaneamente allo spazio economico comunitario e a quello eurasiatico, egemonizzato da Mosca.

Questa opzione rimane sul tavolo, ma non per ora. L’obiettivo immediato di Merkel e Hollande è di congelare il conflitto prima che l’Ucraina collassi. Gli ultimi mesi hanno confermato infatti l’inconsistenza delle Forze armate ucraine, male armate, peggio addestrate, demoralizzate e soprattutto infiltrate dai russi. L’afflusso di contractors occidentali e di volontari di varia provenienza - tra cui diversi neonazisti - non le ha rese molto più efficienti. 

Mentre il duo franco-tedesco negoziava ieri sera al Cremlino con Putin, la morsa si stringeva attorno alle unità fedeli (si fa per dire) a Kiev accerchiate a Debaltseve dalle milizie delle repubblichette ribelli e da una legione straniera filorussa (che conta qualche neofascista nostrano), con il decisivo supporto di migliaia di militari (gli “uomini verdi” senza mostrine) e volontari russi, sotto la regia della Quarantanovesima armata di stanza a Stavropol’.

Il caos militare corrisponde al fragile equilibrio politico di Kiev,dove gli oligarchi continuano a spolpare l’osso di un paese in pieno fervore patriottico, devastato da una crisi economica incontrollabile anche dai ministri di importazione - l’americana Natalie Jaresko alle Finanze e il lituano Aivaras Abromavičius all’Economia.

Se il cessate-il-fuoco cui mirano Merkel e Hollande si svelasse utopia, si rafforzerebbero negli Stati Uniti i fautori dell’escalation. L’idea è di armare gli ucraini perché possano respingere i russi. Ipotesi molto ottimistica, stanti i rapporti di forza. Senza considerare che parte delle forniture finirebbe agli stessi russi, incistati nei comandi militari di Kiev. Mosca poi interpreterebbe questa mossa come una indiretta dichiarazione di guerra. Con possibili conseguenze dirette, se ad esempio qualche “addestratore” americano finisse nel mirino russo o viceversa.

Per questo Berlino e Parigi, ma anche Londra e Roma, si sono espresse nettamente contro il riarmo occidentale dell’Ucraina. Obama, prima di decidere, attende di parlarne con la cancelliera Merkel, ospite lunedì della Casa Bianca. 

«Ho molta considerazione per l’opinione di Angela», ha lasciato filtrare il presidente. Un modo per annunciare la rinuncia a fornire «armi difensive» all’Ucraina? Al contrario, un depistaggio? O solo il riflesso della sua proverbiale refrattarietà a schierarsi? Lo sapremo presto.