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domenica 15 marzo 2015

VIDEO: Il Papa denuncia: ''Il mondo cerca di nascondere persecuzione dei cristiani''

Il Papa: stop alla persecuzione dei cristiani
Cristiani e protestanti nel mirino a Lahore. 3 le esplosioni contro le chiese. L’attentato rivendicato dai talebani pachistani. La polizia ha arrestato un sospettato






È di almeno quindici persone uccise e una ottantina di feriti il bilancio dell’attacco a due chiese compiuto domenica dai talebani a Lahore, in Pakistan. 30 dei feriti sarebbero in gravi condizioni. Nella cittadina pakistana sui si sono udite distintamente tre diverse esplosioni, avvenute a pochi minuti di distanza, in un quartiere a maggioranza cristiana, che hanno colpito due chiese.




Una delle deflagrazioni ha colpito una chiesa cattolica mentre si celebrava la messa, e l’altra una chiesa protestante. I due edifici di culto distano pochi metri l’uno dall’altro. Tra le molte ci sono anche donne e bambini, i cui cadaveri sono giunti al General Hospital di Lahore. Uno dei due attentati certamente, dicono fonti locali, è stato causato da un kamikaze, introdottosi in chiesa durante l’affollata messa domenicale. Dopo gli attacchi sono scoppiate violente proteste, con la folla inferocita che ha picchiato a morte due persone sospettate di essere coinvolte nell’attacco e le ha poi bruciate. La folla ha anche sequestrato in un negozio per circa due ore quattro poliziotti feriti che secondo i dimostranti non avevano vigilato sulla chiesa. Uno dei sospettati sarebbe stato fermato dalla polizia.
Da San Pietro, Papa Francesco è intervenuto per dire che «con dolore, con molto dolore ho appreso degli attentati terroristici contro due chiese cristiane a Lahore in Pakistan, che hanno procurato molti morti e feriti. Sono chiese cristiane. I cristiani sono perseguitati, i nostri fratelli versano il sangue soltanto perché sono cristiani». «Mentre assicuro la mia preghiera per le vittime e le loro famiglie, chiedo - ha aggiunto Bergoglio - il dono della pace e la concordia per quel Paese e che questa persecuzione contro i cristiani, che il mondo cerca di nascondere, finisca e ci sia la pace». La comunità cristiana pachistana ha annunciato tre giorni di lutto.

domenica 18 gennaio 2015

Niger, 7 chiese bruciate durante la protesta contro Charlie Hebdo

Niamey, 17 gen. Almeno sette chiese sono state date alle fiamme oggi a Niamey durante la manifestazione di protesta tenuta nella capitale del Niger contro la pubblicazione di vignette satiriche su Maometto da parte del settimanale francese Charlie Hebdo.






I setteluoghi di culto, perlopiù chiese evangeliche, sono stati bruciati sulla riva sinistra del fiume Niger che attraversa la città, stando a quanto riferito dal corrispondente della France presse, che ha poi visto i manifestanti dirigersi verso la riva destra, dove si trovano diverse altre chiese.

Un migliaio di persone si sono radunate oggi presso la grande moschea di Niamey per protestare contro il giornale francese, scandendo slogan come "Abbasso la Francia", "Abbasso Charlie Hebdo" e "Allah Akbar" (Dio è grande); diversi manifestanti hanno lanciato pietre contro la polizia, che ha risposto con gas lacrimogeni.






Ven­duto in 7 milioni di copie, il numero di 
Char­lie Hebdo pub­bli­cato dopo la strage nella reda­zione del set­ti­ma­nale fran­cese ha goduto di enorme visi­bi­lità pla­ne­ta­ria. Sca­te­nando così anche la rea­zione di quanti si sen­ti­reb­bero oltrag­giati da qual­si­vo­glia raf­fi­gu­ra­zione del pro­feta, figu­ria­moci dalle cari­ca­ture del maga­zine sati­rico.
Dal Paki­stan alla Soma­lia, dall’Inguscezia al Sudan, dall’Algeria al Niger, folle di fedeli indi­gnati hanno dun­que mani­fe­stato la loro rab­bia al ter­mine della pre­ghiera del venerdì e oltre. Ovun­que la rispo­sta alla grande “mar­cia repub­bli­cana” di Parigi è stata chiara e ine­qui­vo­ca­bile: Je suis muslim, «Io sono musul­mano». E di certo «non sono Charlie».
A destare mag­giore pre­oc­cu­pa­zione nelle ultime ore è il modo in cui la situa­zione sta dege­ne­rando in Niger. Venerdì un poli­ziotto e tre mani­fe­stanti hanno perso la vita a Zin­dan, la seconda città del paese, dove una cin­quan­tina di per­sone hanno fatto irru­zione nel locale Cen­tro cul­tu­rale fran­cese appic­cando il fuoco alla caf­fet­te­ria, alla biblio­teca e agli uffici. Per l’intera gior­nata a Zin­dan si è respi­rato un clima che il mini­stero degli Interni nige­rino non ha esi­tato a defi­nire «insurrezionale».
Ieri la pro­te­sta ha inve­stito la capi­tale Nia­mey, dove migliaia di per­sone, in mag­gio­ranza gio­vani, si sono ritro­vate davanti alla Grande Moschea della città. La poli­zia ha pro­vato a disper­dere i mani­fe­stanti con i gas lacri­mo­geni, ma nei disor­dini che sono seguiti almeno due chiese sareb­bero state date all fiamme. L’ambasciata di Parigi ha cal­da­mente invi­tato i fran­cesi pre­senti a Nia­mey a non uscire di casa.
Ma a dif­fe­renza degli altri paesi in cui sono dila­gate le pro­te­ste, qui in Niger la mobi­li­ta­zione ha un valore aggiunto del tutto pecu­liare: la rab­bia della piazza è indi­riz­zata infatti non tanto con­tro Char­lie Hebdo, quanto con­tro il pre­si­dente Maha­ma­dou Issou­fou per la sua par­te­ci­pa­zione alla mar­cia di dome­nica scorsa al fianco di Hol­lande. Lui ha pro­vato a giu­sti­fi­carsi, soste­ne­nedo in un comu­ni­cato che: A) in quanto lea­der di un paese con una popo­la­zione isla­mica al 98%, la sua pre­senza a Parigi «con­tro il ter­ro­ri­smo e a favore della libertà» ser­viva «a testi­mo­niare al governo e al popolo fran­cese l’amicizia e il soste­gno del popolo del Niger», ma soprat­tutto a con­tra­stare quanti in Europa vor­reb­bero «sfrut­tare il feno­meno cre­scente dell’islamofobia per i loro fini poli­tici»; B) Il governo «denun­cia e con­danna con vee­menza la cari­ca­tura del pro­feta Mao­metto (la Pace sia con lui) pub­bli­cata sul numero di Char­lie Hebdo del 14 gen­naio, con­si­de­ran­dola una pro­vo­ca­zione offen­siva e total­mente inac­cet­ta­bile» Ma non ha con­vinto nes­suno. Né sono sfug­gite in patria certe affer­ma­zioni rese da Issou­fou ai media fran­cesi, a comin­ciare da quella in cui il pre­si­dente assi­cura che «non solo io, ma tutti i nige­rini sono Char­lie». Ce n’è abba­stanza per met­tere in dub­bio le sue chance di otte­nere un secondo man­dato alle ele­zioni del pros­simo anno.
Un paese enorme e pove­ris­simo, il Niger, la cui prin­ci­pale risorsa, l’uranio, lo man­tiene sal­da­mente nell’orbita degli inte­ressi fran­cesi. L’ex potenza colo­niale con­trolla infatti le miniere pre­senti nel paese, e pro­prio la neces­sità di difen­derle dal peri­colo isla­mi­sta avrebbe por­tato Parigi a inter­ve­nire mili­tar­mente nel con­fi­nante nord del Mali. Dove ieri un pea­ce­kee­per dell’Onu appar­te­nente al con­tin­gente cia­diano è morto e altri cin­que sono rima­sti feriti in seguito a un atten­tato kami­kaze con­tro una base mili­tare di Kidal gestita dall’esercito fran­cese e dalle Nazioni unite.
Niger e Ciad, insieme al Came­run, in que­sti giorni sono oggetto delle pres­sioni di Parigi per un mag­giore coin­vol­gi­mento, e con­se­guente dispie­ga­mento di truppe al con­fine con la Nige­ria e oltre, nella bat­ta­glia in corso per argi­nare la minac­cia cre­scente costi­tuita da Boko Haram. Un vero incubo. L’escalation san­gui­nosa delle azioni com­piute dall’organizzazione jiha­di­sta, che negli ultimi sei anni ha semi­nato il ter­rore nel nord est della Nige­ria e inflitto cocenti scon­fitte al potente eser­cito di Abuja, sarà al cen­tro di una riu­nione indetta dall’Unione afri­cana la pros­sima settimana.