Il Papa: stop alla persecuzione dei cristiani
Cristiani e protestanti nel mirino a Lahore. 3 le esplosioni contro le chiese. L’attentato rivendicato dai talebani pachistani. La polizia ha arrestato un sospettato
È di almeno quindici persone uccise e una ottantina di feriti il bilancio dell’attacco a due chiese compiuto domenica dai talebani a Lahore, in Pakistan. 30 dei feriti sarebbero in gravi condizioni. Nella cittadina pakistana sui si sono udite distintamente tre diverse esplosioni, avvenute a pochi minuti di distanza, in un quartiere a maggioranza cristiana, che hanno colpito due chiese.
Una delle deflagrazioni ha colpito una chiesa cattolica mentre si celebrava la messa, e l’altra una chiesa protestante. I due edifici di culto distano pochi metri l’uno dall’altro. Tra le molte ci sono anche donne e bambini, i cui cadaveri sono giunti al General Hospital di Lahore. Uno dei due attentati certamente, dicono fonti locali, è stato causato da un kamikaze, introdottosi in chiesa durante l’affollata messa domenicale. Dopo gli attacchi sono scoppiate violente proteste, con la folla inferocita che ha picchiato a morte due persone sospettate di essere coinvolte nell’attacco e le ha poi bruciate. La folla ha anche sequestrato in un negozio per circa due ore quattro poliziotti feriti che secondo i dimostranti non avevano vigilato sulla chiesa. Uno dei sospettati sarebbe stato fermato dalla polizia.
Da San Pietro, Papa Francesco è intervenuto per dire che «con dolore, con molto dolore ho appreso degli attentati terroristici contro due chiese cristiane a Lahore in Pakistan, che hanno procurato molti morti e feriti. Sono chiese cristiane. I cristiani sono perseguitati, i nostri fratelli versano il sangue soltanto perché sono cristiani». «Mentre assicuro la mia preghiera per le vittime e le loro famiglie, chiedo - ha aggiunto Bergoglio - il dono della pace e la concordia per quel Paese e che questa persecuzione contro i cristiani, che il mondo cerca di nascondere, finisca e ci sia la pace». La comunità cristiana pachistana ha annunciato tre giorni di lutto.
Informazione generale sulle condizioni di vita degli abitanti di questa terra, spaziando dalla cronaca e alle varie politiche e leggi applicate agli abitanti dei vari paesi e continenti e tante curiosità.
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domenica 15 marzo 2015
VIDEO: Il Papa denuncia: ''Il mondo cerca di nascondere persecuzione dei cristiani''
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Ubicazione:
Roma, Italia
domenica 18 gennaio 2015
Niger, 7 chiese bruciate durante la protesta contro Charlie Hebdo
Niamey, 17 gen. Almeno sette chiese sono state date alle fiamme oggi a Niamey durante la manifestazione di protesta tenuta nella capitale del Niger contro la pubblicazione di vignette satiriche su Maometto da parte del settimanale francese Charlie Hebdo.
I setteluoghi di culto, perlopiù chiese evangeliche, sono stati bruciati sulla riva sinistra del fiume Niger che attraversa la città, stando a quanto riferito dal corrispondente della France presse, che ha poi visto i manifestanti dirigersi verso la riva destra, dove si trovano diverse altre chiese.
Un migliaio di persone si sono radunate oggi presso la grande moschea di Niamey per protestare contro il giornale francese, scandendo slogan come "Abbasso la Francia", "Abbasso Charlie Hebdo" e "Allah Akbar" (Dio è grande); diversi manifestanti hanno lanciato pietre contro la polizia, che ha risposto con gas lacrimogeni.
Venduto in 7 milioni di copie, il numero di Charlie Hebdo pubblicato dopo la strage nella redazione del settimanale francese ha goduto di enorme visibilità planetaria. Scatenando così anche la reazione di quanti si sentirebbero oltraggiati da qualsivoglia raffigurazione del profeta, figuriamoci dalle caricature del magazine satirico.
A destare maggiore preoccupazione nelle ultime ore è il modo in cui la situazione sta degenerando in Niger. Venerdì un poliziotto e tre manifestanti hanno perso la vita a Zindan, la seconda città del paese, dove una cinquantina di persone hanno fatto irruzione nel locale Centro culturale francese appiccando il fuoco alla caffetteria, alla biblioteca e agli uffici. Per l’intera giornata a Zindan si è respirato un clima che il ministero degli Interni nigerino non ha esitato a definire «insurrezionale».
Ieri la protesta ha investito la capitale Niamey, dove migliaia di persone, in maggioranza giovani, si sono ritrovate davanti alla Grande Moschea della città. La polizia ha provato a disperdere i manifestanti con i gas lacrimogeni, ma nei disordini che sono seguiti almeno due chiese sarebbero state date all fiamme. L’ambasciata di Parigi ha caldamente invitato i francesi presenti a Niamey a non uscire di casa.
Ma a differenza degli altri paesi in cui sono dilagate le proteste, qui in Niger la mobilitazione ha un valore aggiunto del tutto peculiare: la rabbia della piazza è indirizzata infatti non tanto contro Charlie Hebdo, quanto contro il presidente Mahamadou Issoufou per la sua partecipazione alla marcia di domenica scorsa al fianco di Hollande. Lui ha provato a giustificarsi, sostenenedo in un comunicato che: A) in quanto leader di un paese con una popolazione islamica al 98%, la sua presenza a Parigi «contro il terrorismo e a favore della libertà» serviva «a testimoniare al governo e al popolo francese l’amicizia e il sostegno del popolo del Niger», ma soprattutto a contrastare quanti in Europa vorrebbero «sfruttare il fenomeno crescente dell’islamofobia per i loro fini politici»; B) Il governo «denuncia e condanna con veemenza la caricatura del profeta Maometto (la Pace sia con lui) pubblicata sul numero di Charlie Hebdo del 14 gennaio, considerandola una provocazione offensiva e totalmente inaccettabile» Ma non ha convinto nessuno. Né sono sfuggite in patria certe affermazioni rese da Issoufou ai media francesi, a cominciare da quella in cui il presidente assicura che «non solo io, ma tutti i nigerini sono Charlie». Ce n’è abbastanza per mettere in dubbio le sue chance di ottenere un secondo mandato alle elezioni del prossimo anno.
Un paese enorme e poverissimo, il Niger, la cui principale risorsa, l’uranio, lo mantiene saldamente nell’orbita degli interessi francesi. L’ex potenza coloniale controlla infatti le miniere presenti nel paese, e proprio la necessità di difenderle dal pericolo islamista avrebbe portato Parigi a intervenire militarmente nel confinante nord del Mali. Dove ieri un peacekeeper dell’Onu appartenente al contingente ciadiano è morto e altri cinque sono rimasti feriti in seguito a un attentato kamikaze contro una base militare di Kidal gestita dall’esercito francese e dalle Nazioni unite.
Niger e Ciad, insieme al Camerun, in questi giorni sono oggetto delle pressioni di Parigi per un maggiore coinvolgimento, e conseguente dispiegamento di truppe al confine con la Nigeria e oltre, nella battaglia in corso per arginare la minaccia crescente costituita da Boko Haram. Un vero incubo. L’escalation sanguinosa delle azioni compiute dall’organizzazione jihadista, che negli ultimi sei anni ha seminato il terrore nel nord est della Nigeria e inflitto cocenti sconfitte al potente esercito di Abuja, sarà al centro di una riunione indetta dall’Unione africana la prossima settimana.
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Niamey, Niger
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