L’ex terrorista Cesare Battisti è stato arrestato in Brasile, per poi essere trasferito nel carcere della capitale dello Stato. L’arresto è stato dovuto alla possibilità di mettere in atto un ordine di detenzione amministrativa per fini di espulsione. Si è trattato di un arresto durato poche ore, perché il suo legale brasiliano ha subito presentato ricorso, che è stato accettato immediatamente. Proprio l’avvocato di Battisti ha annunciato un’azione legalecontro la giudice federale che aveva decretato la sua espulsione. Secondo il legale non è di competenza di un giudice di primo grado decidere sull’espulsione.
Ha detto poi che il caso è stato risolto velocemente, facendo giustizia. Al momento dell’arresto Battisti si trovava insieme alla moglie e alla figlia. Non ha opposto resistenza e non è stato ammanettato. Era stata la giudice federale Adverci Rates a decretare l’espulsione dell’ex terrorista, negandogli l’opportunità di rinnovare il permesso di soggiorno. L’espulsione era stata decisa in collegamento con la vicenda dei documenti falsi di cui Battisti stesso era dotato. Avrebbe dovuto essere espulso verso la Francia o il Messico.
Dal Brasile si era già tornato a parlare di Cesare Battisti. Il caso è scoppiato a Brasilia lo scorso 30 settembre quando un uomo ha sequestrato un dipendente dell’albergo Saint Peter, nel centro della capitale, chiedendo tra le altre cose l’estradizione di Battisti in Italia. La vicenda ha riportato l’attenzione sulla storia dell’ex terrorista che scatena ancora oggi grandi polemiche.
Cesare Battisti è un ex terrorista rosso, che ha segnato uno dei momenti più difficili della recente storia italiana, i cosiddetti anni di piombo. Condannato in contumacia in tutti i gradi di giudizio all’ergastolo per omicidio e concorso in omicidio, con sentenza passate in giudicato, Battisti ha vissuto prima a Parigi, trasferendosi in Messico e poi in Brasile, dove ha ricevuto lo status di rifugiato politico nel 2011. Oggi vive da uomo libero nel paese sudamericano dedicandosi alla scrittura, senza scontare le condanne inflitte dalla magistratura italiana per i delitti e i reati commessi negli anni Settanta.
Nato a Cisterna di Latina nel 1954, Cesare Battisti cresce in una famiglia con tradizioni comuniste, il che lo porta a interessarsi di politica fin da giovane iscrivendosi alla FIGC, la federazione dei giovani comunisti del PCI, per qualche tempo. Decide però di abbandonare il partito e si avvicina alla malavita, finendo più volte in carcere non ancora maggiorenne per alcune rapine. Nel 1977, compiuti i 18 anni, finisce in prigione a Udine dopo l’ennesima rapina: qui incontra Arrigo Cavallina, tra i fondatori dei PAC, i Proletari Armati per il Comunismo. Entra così a far parte dell’associazione eversiva e continua a compiere rapine, chiamate “espropri proletari” secondo la dottrina del gruppo.
Uscito dal carcere si trasferisce a Milano dove continuano le rapine a danni di negozi e attività commerciali. Sono anni di violenza e terrore, dove gruppi terroristici di destra e di sinistra mietono vittime innocenti in nome di un’ideologia malata. Battisti è uno dei protagonisti negativi di quest’epoca buia.
Il “battesimo del fuoco” per lui arriva il 6 giugno 1978, quando ancora non era passato un mese dal ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani. A Udine uccide Antonio Santoro, maresciallo della Polizia Penitenziaria. L’omicidio viene rivendicato dal gruppo sovversivo: a sparare sono stati Battisti e la sua complice, Enrica Migliorati, per vendicarsi del poliziotto, accusato di aver maltrattato i detenuti.
Nel 1979 Battisti firma come organizzatore e ideatore altri tre omicidi. Il primo avviene a Milano il 16 febbraio quando alle ore 15 viene ucciso Pierluigi Torregiani, un gioielliere. Secondo la rivendicazione del gruppo armato, l’uomo aveva ucciso un rapinatore in una tentata rapina della settimana precedente. Nello scontro a fuoco rimane implicato anche il figlio dell’uomo, Alberto, colpito da uno sparo partito dalla pistola del padre mentre tentava di difendersi e da allora paralizzato.
Alle 18 dello stesso giorno, l’azione si sposta a Santa Maria di Sala, in provincia di Venezia, dove viene freddato Lino Sabbadin, macellaio: anche lui aveva ucciso un rapinatore che era entrato in negozio due mesi prima. Due omicidi molto simili, organizzati come vendetta, e di cui Battisti fu organizzatore, ideatore e, nel secondo caso, anche “copertura armata”.
Il 19 aprile a Milano cade sotto i colpi di pistola l’agente della Digos Andrea Campagna che aveva partecipato agli arresti legati al caso Torregiani: Battisti è l’esecutore materiale dell’omicidio.
La vicenda giudiziaria
Cesare Battisti viene
arrestato nel 1979 nell’ambito di una vasta operazione antiterrorismo e mandato nel carcere di Frosinone da dove segue il processo per la morte di Torregiani e degli altri procedimenti. Dopo la prima condanna per la morte del gioielliere, nel
1981 riesce a evadere e si rifugia in Francia, vivendo a Parigi per un anno da clandestino. Qui conosce la moglie con cui si trasferisce in Messico e dove nasce la figlia. Durante la permanenza nel paese centroamericano arriva la condanna in contumacia per i quattro omicidi.
Torna a Parigi dove frequenta la comunità di rifugiati italiani che vive nella capitale francese grazie alla dottrina Mitterrand sul diritto d’asilo. Qui continua la carriera di scrittore e traduttore, facendo anche il portinaio in uno stabile, ma nel 2004, grazie all’accordo Castelli-Parben di due anni prima, viene arrestato e le autorità italiane inoltrano la richiesta di estradizione al governo francese. Il 30 giugno il presidente JacquesChirac dà il via libera al rientro di Battisti in Italia e l’ex terrorista fugge dalla Francia, facendo perdere le sue tracce.
È il Brasile il paese scelto per l’ennesima fuga che dura poco: nel 2007 viene arrestato al termine di un’operazione congiunta con le forze brasiliane e i reparti speciali italiani. Chiede da subito il riconoscimento dello status di rifugiato politico, rifiutato nel 2008 dal Comitato nazionale per i rifugiati del governo brasiliano. Per questo decide di rivolgersi al ministro della giustizia, Tarso Genro, sapendo che aveva vissuto sulla sua pelle la repressione della dittatura militare e dichiarando che temeva per la sua vita una volta rientrato in Italia: Genro gli concede lo status di rifugiato politico.
La vicenda crea forti tensioni tra Italia e Brasile, tanto che il governo italiano richiama l’ambasciatore: nel 2009 il Tribunale supremo federale dichiara illegittimo lo status di rifugiato politico e con 5 voti su 4 dà il suo va libera all’estradizione, lasciando però al presidente Luiz Inacio Lula da Silva la scelta finale. Lula aspetta l’ultimo giorno del suo mandato, il 31 dicembre 2010 per negare l’estradizione: nel 2011 Battisti viene scarcerato.
Cesare Battisti si è sempre dichiarato innocente degli omicidi a cui è stato condannato (gli sono stati riconosciuti anche i reati di insurrezione armata, possesso illegale di armi e rapina a mano armata). La sua linea difensiva ha suscitato molto interesse al di fuori dei tribunali e molti intellettuali italiani, francesi e non solo si sono schierati in sua difesa. Tra i transalpini ricordiamo, Bernard-Henri Lévy, che ha curato la prefazione all’ultimo suo libro “Ma Cavale”), Serge Quadruppani, Daniel Pennac e soprattutto la scrittrice di gialliFred Vargas che sul caso Battisti ha scritto un libro, inedito in Italia, e lo ha aiutato anche economicamente nei primi anni di latitanza in Brasile.
Alla base c’è l’idea che i processi siano stati falsati dall’atmosfera di repressione che guidava la lotta al terrorismo. Battisti sarebbe un capro espiatorio, dato in pasto alla giustizia italiana da parte di alcuni pentiti, in particolare Pietro Mutti, membro del PAC, che lo accusò per avere gli sconti di pena. Incongruenze e forzature, secondo la linea di difesa, amplificate dall’impossibilità di difendersi in prima persona, visto che le condanne sono arrivate in contumacia. Dal Brasile Battisti ha rotto il silenzio e in molte interviste si è dichiarato innocente degli omicidi.
Le prove a suo carico però hanno retto in tutti i gradi di giudizio e in tutti i sette processi a cui è stato sottoposto: è stato condannato in contumacia perché è fuggito dall’Italia. Il fondatore dei PAC e suo mentore di allora, Arrigo Cavallina, condannato a 12 anni per l’ideazione dell’omicidio Santoro, confermò in un’intervista a Oggi del 2012 che Battisti sparò al maresciallo. Nella sua autobiografia “La piccola tenda d’azzurro”, ne parla poco, ma quello che dice è chiaro: “era un malavitosetto romano dall’intelligenza vivace”.
La realtà è che Battisti è stato riconosciuto colpevole di tutti i reati e gli omicidicommessi: per la giustizia italiana è un criminale e un assassino e come tale deve scontare la sua pena.