- L'Italicum è legge. Con 334 voti a favore e 61 contrari l'aula della Camera ha dato il via libera al disegno di legge che riforma la legge elettorale, riforma voluta fortemente dal governo di Matteo Renzi. Il voto si è svolto a scrutinio segreto come richiesto da Forza Italia, Fdi e Lega Nord. Le opposizioni non hanno partecipato al voto.
I NUMERI DEL VOTO FINALE- Non hanno preso parte al voto finale sull'Italicum 6 deputati del Pd, 3 dem si sono astenuti e uno, Eleonora Cimbro, era in missione. Pier Luigi Bersani e Rosy Bindi hanno partecipato al voto. Su 310 deputati del Pd, 303 hanno partecipato al voto, 1 era in missione e 6 non hanno preso parte al voto finale sull'Italicum alla Camera. Di Area Popolare (Udc e Ncd) su 33 deputati, 30 hanno partecipato, 2 non hanno preso parte al voto e 1 era in missione. Di Forza Italia su 70 deputati, 1 ha partecipato al voto (si tratta di Francesco Saverio Romano, che lo ha dichiarato in Aula), 8 erano in missione e 61 non hanno partecipato alla votazione. Fedeli alla linea i 17 deputati della Lega Nord che non sono entrati in Aula, così come i 24 di Sel e i 90 del M5S (tranne 1 che era in missione).
Anche i deputati di Fratelli d'Italia non hanno partecipato al voto: 6 su 8, (due erano in missione). Del gruppo Misto, su 38 deputati, 29 hanno partecipato allo scrutinio finale, 7 non vi hanno preso parte e 2 erano in missione. Sui 13 deputati di Per l'Italia-Centro democratico, 12 hanno votato e 1 non ha partecipato. Dei 25 deputati di Scelta civica per l'Italia, 24 hanno votato mentre uno era in missione. Alla Camera hanno preso parte al voto finale sull'Italicum 399 deputati, pari al 63,43 per cento del totale mentre non hanno partecipato 214 deputati, vale a dire il 34,02 per cento. In missione 16 deputati, pari al 2,54 per cento.
RENZI: PROMESSA RISPETTATA AVANTI CON UMILTA' E CORAGGIO - "Impegno mantenuto, promessa rispettata. L'Italia ha bisogno di chi non dice sempre no. Avanti, con umiltà e coraggio. #lavoltabuona". Lo scrive il premier Matteo Renzi su Twitter.
BOSCHI: MISSIONE COMPIUTA, PROMESSA MANTENUTA -"Missione compiuta. Avevamo promesso una legge elettorale che dava la sera stessa del voto un presidente certo e lo abbiamo mantenuto". Così Maria Elena Boschi, ministra per le Riforme, commentando con i giornalisti l'approvazione dell'Italicum in aula alla Camera.
BRUNETTA (FI): VITTORIA DI PIRRO, ORA SALTANO RIFORME - L'approvazione dell'Italicum è "una vittoria di Pirro, di Renzi e del suo governo. Con questi voti la riforma costituzionale non passerà mai e se non passa questo Italicum è incostituzionale". Così il capogruppo alla Camera di Forza Italia, Renato Brunetta, commentando il voto finale sulla riforma della legge elettorale. "I numeri sono tali - spiega - che in Senato Renzi non ha la maggioranza ormai su nulla".
ALFANO: APPROVATA UNA BUONA LEGGE ELETTORALE- "Abbiamo approvato una buona legge elettorale che dà all'Italia stabilità, rappresentanza e pure le preferenze". Così il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, commentando l'approvazione dell'Italicum a Montecitorio. Ma il numero dei no non è stato superiore al previsto? "L'importante - ribatte - è l'approvazione con una maggioranza ampiamente sopra quella della composizione della Camera".
Ecco come cambia la legge elettorale, dopo il sì della riforma da parte della Camera.
SOGLIA DI SBARRAMENTO AL 3%, OPPOSIZIONI FRAMMENTATE. Partiti come Sel, che ottenne 37 seggi col suo 3,20% dei voti, sarebbero entrati alla Camera (il nuovo sbarramento è al 3%), con circa 8-9 deputati. La Lega, che col 4,09% dei voti ha ottenuto 18 seggi, ne avrebbe avuti forse meno di una dozzina. Una soglia di sbarramento bassa, come quella del 3%, favorirà la frammentazione delle opposizioni e ridurrà la loro forza di impatto sulle politiche del Governo.
LA GUERRA CON FI E CON I DISSIDENTI PD. Forza Italia è sempre stata contraria all'attribuzione del premio di maggioranza al partito e non alla coalizione. Silvio Berlusconi, infatti, da tempo lavora alla ricostruzione di un polo di centrodestra e, con questa legge, l'unica speranza di tornare al Governo per la sua area diventerà convincere tutti a entrare in un unico partito, orizzonte piuttosto difficile da immaginare visto il fallimento del Pdl - "per organizzarsi hanno tempo fino al 2018", ha chiosato ieri il premier Matteo Renzi a Bologna -. Nonostante la contrarietà su questo punto, Berlusconi ha dato seguito al patto del Nazareno, mettendo a disposizione i voti del suo partito per approvare la riforma in Senato, con l'intesa che si sarebbe trovato un accordo analogo anche sul presidente della Repubblica (qualcuno dei dissidenti del Pd, come Rosy Bindi, visto il tanto che Berlusconi politicamente aveva da perdere su questo punto, sostiene che dovesse esserci a margine anche qualche altra intesa mai resa nota, che riguardasse i suoi guai giudiziari). Saltato il patto del Nazareno, Forza Italia ha fatto le barricate alla Camera e ha denunciato la legge come anticostituzionale.
I dissidenti del Pd, guidati dall'ex segretario Pier Luigi Bersani, da Gianni Cuperlo, Stefano Fassina, Pippo Civati, Rosy Bindi e altri, sono contrari al provvedimento soprattutto per via dei capilista bloccati. Il primo nome di ciascuna lista, infatti, sarà deciso dal partito e, di fatto, automaticamente eletto per i principali partiti. I dissidenti vorrebbero estendere la preferenza a tutta la lista. Con questo testo, infatti, le segreterie dei partiti avranno un grande potere nel decidere chi saranno gli eletti alle elezioni successive e potranno così consolidare ulteriormente il proprio consenso interno favorendo una progressiva fuoriuscita dal Parlamento delle voci dissonanti. C'è da dire, però, che sul tema delle preferenze l'opinione prevalente dentro il Pd è storicamente stata quella di limitarle, per evitare che il voto possa dare spazio a clientele sul territorio. Perciò il tema è delicato e la battaglia su questo punto soggetta a geometrie variabili.
SOGLIA DI SBARRAMENTO AL 3%, OPPOSIZIONI FRAMMENTATE. Partiti come Sel, che ottenne 37 seggi col suo 3,20% dei voti, sarebbero entrati alla Camera (il nuovo sbarramento è al 3%), con circa 8-9 deputati. La Lega, che col 4,09% dei voti ha ottenuto 18 seggi, ne avrebbe avuti forse meno di una dozzina. Una soglia di sbarramento bassa, come quella del 3%, favorirà la frammentazione delle opposizioni e ridurrà la loro forza di impatto sulle politiche del Governo.
LA GUERRA CON FI E CON I DISSIDENTI PD. Forza Italia è sempre stata contraria all'attribuzione del premio di maggioranza al partito e non alla coalizione. Silvio Berlusconi, infatti, da tempo lavora alla ricostruzione di un polo di centrodestra e, con questa legge, l'unica speranza di tornare al Governo per la sua area diventerà convincere tutti a entrare in un unico partito, orizzonte piuttosto difficile da immaginare visto il fallimento del Pdl - "per organizzarsi hanno tempo fino al 2018", ha chiosato ieri il premier Matteo Renzi a Bologna -. Nonostante la contrarietà su questo punto, Berlusconi ha dato seguito al patto del Nazareno, mettendo a disposizione i voti del suo partito per approvare la riforma in Senato, con l'intesa che si sarebbe trovato un accordo analogo anche sul presidente della Repubblica (qualcuno dei dissidenti del Pd, come Rosy Bindi, visto il tanto che Berlusconi politicamente aveva da perdere su questo punto, sostiene che dovesse esserci a margine anche qualche altra intesa mai resa nota, che riguardasse i suoi guai giudiziari). Saltato il patto del Nazareno, Forza Italia ha fatto le barricate alla Camera e ha denunciato la legge come anticostituzionale.
I dissidenti del Pd, guidati dall'ex segretario Pier Luigi Bersani, da Gianni Cuperlo, Stefano Fassina, Pippo Civati, Rosy Bindi e altri, sono contrari al provvedimento soprattutto per via dei capilista bloccati. Il primo nome di ciascuna lista, infatti, sarà deciso dal partito e, di fatto, automaticamente eletto per i principali partiti. I dissidenti vorrebbero estendere la preferenza a tutta la lista. Con questo testo, infatti, le segreterie dei partiti avranno un grande potere nel decidere chi saranno gli eletti alle elezioni successive e potranno così consolidare ulteriormente il proprio consenso interno favorendo una progressiva fuoriuscita dal Parlamento delle voci dissonanti. C'è da dire, però, che sul tema delle preferenze l'opinione prevalente dentro il Pd è storicamente stata quella di limitarle, per evitare che il voto possa dare spazio a clientele sul territorio. Perciò il tema è delicato e la battaglia su questo punto soggetta a geometrie variabili.
L'OPPOSIZIONE DEGLI ALTRI PARTITI. I partiti minori si oppongono alla nuova legge elettorale perché, evidentemente, questo sistema li condannerà a essere ininfluenti, mentre il Movimento 5 Stelle è contrario perché intravede, nella legge, un pericolo autoritario dal momento che, a conti fatti, considerando una affluenza alle urne intorno al 70%, un partito che raccolga il consenso del 20% dei cittadini potrà controllare il 55% della Camera.
IN FRANCIA. Ma come funziona in Francia e in Germania? In Francia il potere esecutivo, diversamente da quello che succede da noi, è in capo al presidente della Repubblica, che viene eletto direttamente dai cittadini. Lui stesso nomina però anche un primo ministro, che non ha bisogno di un voto di fiducia per insediarsi, ma che può essere sfiduciato dall'Assemblea nazionale. Può capitare che presidente della Repubblica e maggioranza parlamentare siano di segno politico opposto. In quel caso il premier è espressione della maggioranza parlamentare e si parla di coabitazione. In sostanza, la stabilità è garantita da due voti distinti, quello al presidente della Repubblica e quello al Parlamento, piuttosto che dal blindare i numeri in Parlamento con un premio di maggioranza che distorce come una lente di ingrandimento il risultato delle urne.
IN GERMANIA. In Germania il sistema è più simile al nostro, con un presidente della Repubblica sopra le parti e con un cancelliere federale che ha bisogno della fiducia del Bundestag. Ma in Germania i deputati possono sfiduciare il capo del Governo soltanto se contestualmente ne eleggono un altro. Un meccanismo, definito sfiducia costruttiva, che di fatto rende il Governo molto solido, anche di fronte a un sistema elettorale proporzionale, che di per sé favorirebbe la frammentazione.
NEGLI USA. E negli Usa? Lì, come in Francia, il presidente è eletto direttamente dai cittadini. E' l'unico titolare del potere esecutivo e non dipende da un voto di fiducia del Congresso. Quest'ultimo, però, può eprimere una maggioranza di segno politico opposto al presidente. In questo caso il presidente deve faticare a trovare un'intesa con l'opposizione per far passare i provvedimenti ma non cade il Governo, né si scioglie il Congresso.