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martedì 29 marzo 2016

Libia: condannato a morte il figlio di Gheddafi. Saif al-Islam








Muammar Gheddafi, è stato condannato a morte per fucilazione. La condanna "è definitiva ed è da eseguire", ha annunciato il procuratore generale di Tripoli, Sadiq al-Suwar, dopo la sentenza dalla Corte d'appello nei confronti dei gerarchi del passato regime del Colonnello.


Con Saif sono stati condannati alla stessa pena anche altri 7 esponenti di alto rango dell'ex regime destituito nel 2011. Tra loro Abdullah Senussi, che fu capo dell'intelligence e l'ultimo premier dell'era Gheddafi, al-Baghdadi al-Mahmudi. Erano accusati di crimini commessi durante le rivolte in LIbia nel 2011, prima pacifiche e poi trasformatesi in guerra civile.

Saif è il secondo figlio di Muhammad Gheddafi ed era stato designato alla successione. Dopo la rivolta aveva tentato la fuga in Niger, ma il 19 novembre 2011 era stato arrestato dal Consiglio nazionale transitorio libico.

Il processo, avviato nell'aprile dello scorso anno, è stato criticato da organizzazioni per i diritti umani. Inoltre, resta da risolvere una disputa con il Tribunale penale internazionale dell' Aja sulla giurisdizione del caso. 

Saif al-Islam Gheddafi è stato condannato in contumacia. L'ultima volta che era comparso in tribunale era il 27 aprile, in videoconferenza dalla prigione di Zintan, 180 chilometri a sud-ovest di Tripoli.

Il governo del premier Abdullah al Thani, riconosciuto dalla comunità internazionale, ha annunciato di non riconoscere il procedimento giudiziario e la sentenza. Il ministro della Giustizia libico, Mabruk Qarira, ha fatto sapere che il processo in corso a Tripoli, gestito dalle milizie locali, "è illegale", considerando che "si tiene in una città (Tripoli) che è al di fuori del controllo dello Stato".

L'ufficio per i diritti umani delle Nazioni unite è "profondamente turbato" dalle condanne a morte pronunciate a Tripoli. "Stiamo monitorando da vicino la detenzione e il processo, abbiamo rilevato che gli standard di un processo internazionale giusto non sono stati rispettati", si legge in una nota.

La Corte penale internazionale (Cpi) "continua a chiedere l'arresto ed il trasferimento" all'Aja di Saif al-Islam, sulla base dell'ordine di cattura emesso nei suoi confronti "per crimini contro l'umanità ", e le autorità libiche "hanno un chiaro obbligo legale di farlo".






martedì 15 dicembre 2015

VIDEO: Cosa accade in Libia oggi







In Libia l’Isis/Daesh ha preso il controllo di Sabrata, un patrimonio dell’umanità UNESCO a 70 chilometri a ovest di Tripoli.
E’ vero che, come sostiene il ministro degli Esteri russo Lavrov, il Califfato tende ad esagerare i suoi successi, ma in Libia gli uomini di Al Baghdadi ci sono, non vi è dubbio.
E la linea russa di costruire una coalizione ampia contro il jihad “della spada” è certamente giusta, ma, per dirla con una poesia di Kavafis, “i barbari sono già alle porte”, e i tempi diplomatici necessari a costruire una grande unità come avvenne per sconfiggere l’Asse, sono inevitabilmente troppo lunghi per non favorire, anche indirettamente il Califfato.
Intanto, le rappresentanze politiche libiche riunite a Roma al Rome Med Forum 2015 l’11 dicembre scorso, Habib Essid, ministro tunisino degli esteri, ha sostenuto l’accordo dell’ONU per la formazione di un governo di unità nazionale libico.
Ovvio, se non si stabilizza subito la situazione tra Fezzan, Cirenaica e Tripolitania, la Tunisia vede giustamente una minaccia alla sua sicurezza nazionale. Che è anche la nostra, dato che Tunisi è il vero “dente” strategico per la penetrazione della penisola.
Bei tempi, quando un grande direttore del Sismi, l’amm. Fulvio Martini, elaborava un piano per sostenere il “nostro” candidato alla successione dopo Habib Bourghiba, ovvero Zine el Abidine Ben Ali.
Ora siamo al rifiuto pregiudiziale italiano dell’intervento armato, mentre alcuni elementi delle nostre Forze Speciali, insieme a francesi, tedeschi e statunitensi, stanno valutando i punti di forza e di debolezza potenziali per un attacco dal mare, senza peraltro prevedere un sostegno successivo e una protezione da terra.
La paura atavica e il pacifismo sessantottino di certi nostri politicanti rischiano di far fallire una possibile operazione contro jihadisti fanatici sì, ma poco armati e con una pessima logistica.
Meglio sarebbe stato per il governo italiano evitare di propalare progetti futuri per la Libia e farsi carico invece di costruire una coalizione militare per arrivare in Libia con il consenso di entrambi i governi locali, per un fine preciso e tutt’altro che pacifico.
Ovvero quello estirpare le aree del jihad nel più breve tempo possibile, chiedendo peraltro il sostegno strategico e logistico di Tunisia, Algeria e Egitto, tutti paesi nostri amici e direttamente interessati alla eliminazione del jihad della spada.
Per non parlare poi del ministro italiano della Difesa in carica, che ha definito “fascisti” quelli dell’Isis, forse fuorviato dal colore delle loro bandiere, facendosi ridere dietro da tutti gli storici, compresi quelli di sinistra.
Cattiva imitazione della propaganda interna USA, che utilizza il termine “nazism” solo perché è l’unico conosciuto dalla gran parte della propria popolazione.
Se quindi la Tunisia vuole l’attuazione della proposta dell’ONU gestita dal nuovo, e più efficace del predecessore Bernardino Leon, , rappresentante UNSMIL Martin Kobler, allora diminuisce la probabilità che vada in porto la proposta, fatta da alcuni gruppi dei due parlamenti libici, di un governo di unità nazionale senza l’implementazione della piattaforma ONU.
Ma perché i libici dovrebbero accettare la linea dell’UNSMIL?
L’accordo non prevede alcuna trattativa, che peraltro non è avvenuta in Tunisia finora, tra l’ONU e le tante realtà politiche e tribali che magari sono armate e si fanno guerra tra di loro, ma non sono affatto riconducibili all’Isis/Daesh.
Per esempio i Warfalla, oppure l’unione, segnalata da alcuni analisti, tra gruppi di razza nera del meridione libico e le armate filogheddafiane, che vogliono “liberare la Libia dalle forze NATO”, per dirla con la loro propaganda.
La loro base è Sabha, e ancora non è chiaro se alcuni attacchi al governo di Ali Zeidan siano stati portati dai jihadisti o dalla guerriglia “verde” postgheddafiana.
Le tribù di razza nera, i Tawergha e i Toubou, sono state fatte oggetto di azioni di “pulizia etnica” da parte delle milizie arabe e non hanno alcuna rappresentanza nei due governi più o meno legittimi.
Toubou e Tuareg vogliono controllare direttamente l’area di El-Sharara, nel Fezzan, dove sono situati anche importanti pozzi petroliferi.
Perché, se parliamo di legittimità, entrambi sono piuttosto deboli.
Poi tutte le armate “indipendenti”, che sono circa 40, che non sono state attivate per discutere l’accordo UNSMIL e che non l’accetteranno fino a quando non lo troveranno utile, anche dal punto di vista economico.
Non vi è poi, nell’accordo ONU recentemente sottoscritto, una nota esplicita sulla sicurezza dell’area. Nell’ultimo documento presente sul sito dell’UNSMIL, si fa riferimento alla buona volontà dei membri dei due governi e del popolo “per desistere da ogni tentativo e manovra tali da bloccare il processo democratico e mettere in pericolo i risultati del dialogo”.
La buona volontà in politica, soprattutto in quella estera, si sa che posto ha. “Meglio essere pazzo per contro proprio, che savio per volontà altrui”, come diceva Nietzsche.
Quindi, se l’UNSMIL non provvederà concretamente, con un accordo di carattere militare, alla sicurezza del territorio e alla regolarità del processo politico, nel quale debbono essere inseriti tutti i gruppi tribali non jihadisti, Tobruk e Tripoli continueranno a farsi la guerra per interposta fazione.
Ed è ovvio che sia così: il lungo vuoto di potere, favorito dall’inerzia e, talvolta, so di usare una parola pesante, stupidità degli occidentali che hanno sconsideratamente attaccato il regime gheddafiano per portarci via l’ENI, ha fatto sì che ogni fazione dei due governi sia il referente libico di poteri esterni: Arabia Saudita, Qatar, Egitto, Turchia.
O si studia un progetto di stabilizzazione della Libia parlando e trattando, duramente, con questi attori o non si arriva a niente, solo ad una pace di facciata tra i due governi “legittimi” che continueranno a separare, per i loro fini, le tribù, i gruppi etnici, le milizie.
Certo, la Libia è, nei progetti sauditi, una pistola puntata su una Europa che non volesse sostenere i progetti di Riyadh nel Grande Medio Oriente. Petroliferi e non.
Per la Turchia, la Libia è la conquista di una profondità strategica marittima nel Mediterraneo che è essenziale alla sua espansione neo-ottomana in Asia Centrale; e Ankara qui non si fida affatto dei suoi alleati della NATO.
Il Qatar gioca il suo gioco di contrasto con i sauditi, che ha fondamenti sia geoeconomici che ideologici: l’Emirato è un punto di riferimento della Fratellanza Musulmana che ha generato anticamente quei gruppi che si sono fusi nel partito turco oggi al potere, l’AKP di Erdogan ed è proibitissima in Arabia Saudita.
E la Fratellanza vuol dire anche una presa efficace su tutto il ciclo della finanza islamica, dove i “Fratelli” sono ben rappresentati.
L’Egitto, è ovvio, non vuole infezioni jihadiste ai suoi confini e, soprattutto, non vuole un potere islamista in Libia tale da radicalizzare i tantissimi lavoratori egiziani presenti in quel Paese.
Quindi, rapida programmazione, in ambito NATO e ONU, di una Forza di Stabilizzazione libica, che però sia dotata di Regole d’Ingaggio più adatte alla guerra che non agli incontri per il tè, come erano le prime ROE per l’Afghanistan, Forza di Stabilizzazione nella quale l’Italia abbia il ruolo che merita.
In secondo luogo, trattare seriamente con tutti gli attori non jihadisti libici, anche per limitare lo strapotere, non sappiamo quanto elettoralmente legittimo, dei due governi.
Usare anche quelli che ora sono stati esclusi dalle trattative di Skhirat, in Marocco, per equilibrare la politica interna libica e assicurarsi che nessuno rompa gli accordi.
Smetterla, infine, di pensare che la crisi libica sia una questione regionale, perché coinvolge tutto l’assetto futuro del Mediterraneo e riguarda la sicurezza interna ed esterna del nostro Paese.
Sostenere poi il ministro degli esteri russo Lavrov per arrivare ad una Coalizione politico-militare la più vasta possibile.
La questione delle sanzioni alla Russia è solo una parte del problema.
La questione è che noi non siamo ai confini del territorio russo, non abbiamo necessità, come altri Paesi, di una protezione credibile verso l’Est slavo, e quindi il nostro interesse nazionale è quello di sostenere Mosca in una nuova egemonia delle civiltà dell’Occidente nel Mediterraneo, che non bagna Washington e nemmeno New York.
Multilateralismo, postura e minaccia militare credibili, controllo attento del mare, dato che i rifornimenti all’Isis/Daesh arrivano alla Sirte per nave.



Non so dire se il diritto internazionale permetta o meno una azione militare contro un naviglio che va a rifornire il Califfato libico, ma mi ricordo che, come diceva Mao Zedong, il potere siede sulle punte dei fucili.



La conferenza stampa congiunta del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Paolo Gentiloni, del Segretario di Stato degli Stati Unti d’America John Kerry e del Rappresentante Speciale del Segretario Generale ONU per la Libia Martin Kobler.



giovedì 13 agosto 2015

Libia, Isis bombarda quartiere a Sirte. Ong: è sterminio di massa




– Il gruppo libico dello Stato Islamico (Isis) ha bombardato oggi una zona residenziale di Sirte nel corso degli scontri in atto da lunedì scorso nella città natale di Muammar Gheddafi tra gli uomini del Califfato nero e le fazioni islamiste appoggiate dagli abitanti. Lo hanno riferito diversi media e siti web arabi, mentre una ong libica ha denunciato lo “sterminio di massa” degli abitanti della città.
Secondo diverse testimonianze riprese sui social media, sarebbero almeno 47 i morti da lunedì scorso, ma le notizie che arrivano dalla città, nella zona centrale della costa libica, sono confuse. Secondo il sito web libico “Al Wasat”, i giovani di Sirte, alleati con milizie salafite locali, hanno strappato all’Isis il controllo del porto, ma per la tv satellitare “Al Arabiya” i jihadisti lo avrebbero riconquistato.
“Nella città di Sirte i civili sono vittime di un progetto di sterminio di massa perpetrato dall’Isis che sta bombardando la città in modo indiscriminato”, è la denuncia fatta su Twitter dal “Comitato nazionale per la difesa dei diritti umani”, un’organizzazione non governativa di attivisti libici.
Gli scontri sono scoppiati lunedì dopo l’uccisione da parte dei jihadisti dell’Isis del leader salafita Khalid Ben Rijab.





mercoledì 10 giugno 2015

Liberato il medico rapito a gennaio in Libia





Torna a casa dopo mesi di prigionia il medico Ignazio Scaravilli, vittima di un sequestro in Libia dallo scorso 6 gennaio, ma strappato dalle mani nemiche grazie alle autorità di Tripoli ed a breve rientrerà in patria. Le stesse autorità, i cui uffici stanno ospitando temporaneamente Scaravilli, hanno avviato gli “adempimenti di rito” dopo le quali l’uomo potrà far ritorno.






Si stima che ciò possa accadere già tra pochi giorni, alla notizia la reazione della moglie: “Per il momento sono troppo agitata. Non sono in grado di parlare”, ha dichiarato la donna, “Dovete scusarmi ma io per il momento non sono in grado di fare nessuna conversazione. Sono contenta. Posso non essere contenta di una notizia del genere? Però sono troppo agitata.” Il ritorno di Ignazio Scaravilli, che secondo fonti ufficiali sarebbe in buono stato disalute, è quasi certo, nonostante le trattative siano ancora in corso. Si è espresso sul caso ed in via ufficiale anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel ringraziare tutte le autorità che hanno contribuito alla buona riuscita del salvataggio ed ha comunicato la propria soddisfazione per la conclusione positiva della vicenda. Tuttavia, la nazione attende ancora il ritorno di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito quasi due anni fa (il 27 luglio 2013) in Siria.





lunedì 1 giugno 2015

VIDEO: Libia. Isis dichiara guerra a governo basato a Tripoli





Libia. L’Isis dichiara guerra ai jihadisti di Tripoli. Perché vogliono il controllo dell’intero paese

Si aggiunge un nuovo elemento nel caos della crisi libica: le milizie jihadisti dell’Isis hanno oggi dichiarato guerra a Tripoli comunicando che “Gli apostati di Fajr Libia devono sapere che si sta preparando una guerra che li eliminerà dalla faccia della Terra, a meno che non si ravvedano e ritornino alla vera religione”.
Fajr Libia, cioè “Alba della Libia”, è una sigla che raccoglie diversi gruppi islamisti e jihadisti fra i quali Ansar al-Sharia, i quali governano oggi Tripoli dopo averla sottratta, insieme alle milizie della tribù di Misurata, alle forze della tribù di Zintan.
La situazione vede quindi una sorta di tutti contro tutti, in un paese fortemente diviso in tribù, dove ognuno cerca di rimanere a galla e di prendere il più possibile, appoggiandosi anche a traffici illeciti come quello degli esseri umani, della droga e delle armi.
La minaccia dell’Isis, che in Libia controlla parte dell’area di Bengasi e le città di Derna e di Sirte, si concretizzerebbe innanzitutto con l’attivazione di “cellule dormienti” a Tripoli, e già ieri un kamikaze tunisino si è fatto esplodere nei pressi di un posto di controllo a al-Dafiniyah, uccidendo cinque combattenti di Fajr Libia e ferendone altri sette.
Non si tratta dei primi segnali che mettono alla luce i contrasti fra le due realtà jihadiste: in gennaio era stato l’Isis a rivendicare l’attentato all’hotel Corinthia di Tripoli, costato la vita a nove persone e che aveva come obiettivo l’allora premier del governo “di Tripoli” Omar al-Hassi, il quale era tuttavia scampato all’attacco.




I miliziani dell’Isis stanno quindi cercando di destabilizzare ulteriormente una situazione già destabilizzata, mentre dal punto di vista militare starebbero puntando a conquistare la provincia di Jaffra, zona importante dal punto di vista strategico in quanto vicina al giacimento di petrolio di al-Mabruk. Vogliono, insomma, espandersi il più possibile per prendere il controllo dell’intero paese e quindi destabilizzare le aree circostanti, a cominciare dalla Tunisia, dall’Algeria, dove vi sono aree e gruppi sensibili all’idea del Califfato.
Benchè le minacce di oggi interessino i nemici, comprensibilmente l’esecutivo “di Tobruk”, riconosciuto dalla comunità internazionale e guidato da Abdullah al-Thani, ha rinnovato in queste ore la richiesta alla “comunità internazionale, Lega Araba e Consiglio di Sicurezza dell’Onu” di intervenire e decidere “passi concreti urgenti per sostenere la Libia nella guerra contro il terrorismo”. Per l’ennesima volta è stata invocata la “revoca dell’embargo sulle armi dell’esercito libico che combatte il terrorismo da un anno”, anche perché, come da Tobruk è stato già fatto notare, armi continuano a convergere via mare e soprattutto attraverso il Sahel su Tripoli, il cui governo è riconosciuto solo da Turchia e Qatar.








martedì 12 maggio 2015

La Libia avverte: “Isis sarà in Italia entro poche settimane”




Il Ministro dell'Informazione turco avverte l'Italia: "L'Isis arriverà da voi con i barconi nelle prossime settimane", ribadendo poi l'appello a togliere l'embargo sulle armi: "Combatteremo lo Stato Islamico anche per voi"




I miliziani dell’Isis raggiungeranno le coste italiane nell’arco di poche settimane. Ne è convinto il governo di Tobruk, che ammonisce il nostro Paese riguardo ad una possibile infiltrazione di terroristi islamici che avverrà nelle prossime settimane mediante i barconi degli scafisti. Non è la prima volta che dalla Libia arrivano ammonimenti di questo genere, ma in questo caso Omar al Gawari, il Ministro dell’Informazione libico, sembra essere particolarmente convinto delle proprie esternazioni.
“Nelle prossime settimane l’Italia sperimenterà l’arrivo non solo di proveri emigranti dall’Africa, ma anche di barconi che trasportano Daesh (il nome arabo per indicare lo Stato Islamico, ndr). Ma al Gawari non si ferma qui, rendendo noto anche che “Malta e l’Italia saranno interessate da operazioni attraverso i porti che sono dominati da Fajr Libya”Fajr Libya è la coalizione delle milizie filo-estremiste che risultano essere attualmente al potere a Tripoli, e che controllano parimenti anche le regioni occidentali della Libia.
“L’esercito ed i responsabili libici hanno informazioni in proposito” ha poi concluso il Ministro dell’Informazione della Libia, che ha così lasciato intendere di essere in possesso di materiale sensibile riguardante la reale minaccia dello sbarco dell’Isis in Italia, ma di non poterlo diffondere al momento. Omar al Gawari ha poi affermato che “Le forze armate libiche devono essere ben equipaggiate per far fronte all’emigrazione clandestina: sia la Marina che protegge le coste, sia l’esercito che protegge le frontiere terrestri”, allo scopo di prevenire ogni infiltrazione di terroristi.
Ribadita anche la richiesta, già espressa più volte ma finora rimasta inascoltata, di eliminare l’embargo sulle armi in Libia: “I libici vogliono che sia tolto l’embargo sulle armi, e pagheranno col loro denaro per acquistare le armi necessarie per restaurare la pace e la sicurezza del Paese. Non abbiamo bisogno di aerei. Per questo-conclude al Gawari-chiediamo alla comunità nazionale di indirizzare un messaggio ai golpisti di Triplo di smetterla, lasciando operare il governo legittimo che è stato eletto”.
Come già affermato in altre sedi dunque, la Libia non chiede soldati, operazioni umanitarie o aerei di supporto: chiede semplicemente di potersi armare così da combattere da sola l’Isis in casa propria prima che possa raggiungere il nostro Paese. Il governo di Tobruk è particolarmente sensibile al problema dello Stato Islamico, e solo ieri la Libia ha bombardato un mercantile turco perché si era avvicinato troppo alla città-califfato dell’Isis di Derna. Il governo libico è infatti convinto che la Turchia, contrariamente a quanto dichiara, finanzi segretamente i terroristi, fornendo loro soldi ed armi.



domenica 19 aprile 2015

Diretta Euronews, costanti aggiornamenti sullla Strage di migranti nel Canale di Sicilia: i morti potrebbero essere un migliaio






L'allarme è stato lanciato intorno alla mezzanotte da un mercantile portoghese. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: "Se i numeri del naufragio fossero confermati, potrebbe essere una delle più grandi tragedie avvenute nel Mediterraneo"

Potrebbe essere "una delle più grandi tragedie avvenute nel Mediterraneo". Carlotta Sami è la portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), è lei a dare la misura di quello che sta accadendo nel canale di Sicilia, 60 miglia a nord della Libia: un peschereccio carico di migranti la notte scorsa si è capovolto, a bordo del barcone vi sarebbero state circa 700 persone, forse di più. In particolare, l'agenzia di stampa Adnkronos, citando alcuni testimoni, scrive che sull'imbarcazione vi erano oltre un migliaio di persone. Secondo fonti della Guardia costiera, sarebbero 23 i corpi senza vita recuperati in acqua, i superstiti, invece, per ora sarebbero soltanto 28.
LA DINAMICA — L'allarme è scattato intorno alla mezzanotte. Sarebbe partito da un mercantile battente bandiera portoghese, il King Jacob, si stava avvicinando ad un peschereccio di una trentina di metri stipato di migranti in grave difficoltà. A bordo del barcone sarebbe scoppiato il panico, gli immigrati si sarebbero assiepati su un unico lato dell'imbarcazione, che si sarebbe capovolta. I mezzi di soccorso sono al lavoro già dalle prime ore dell'alba. Oltre ai mezzi navali militari, sono stati dirottati nella zona alcuni pescherecci e navi mercantili. "Nella zona c'è una grande macchia di nafta, pezzi di legno e salvagenti", ha raccontato il generale della Guardia di Finanza, Antonino Iraso.







LA POLITICA
 — Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha interrotto l'apertura della campagna elettorale del Pd per le prossime amministrative, cancellando gli appuntamenti del pomeriggio. Prima di rientrare a Roma da Mantova, è intervenuto sulla tragedia che si sta consumando nel Canale di Sicilia: "Al momento sono 28 i morti, ma saranno molti, molti di più", ha esordito il premier. "Il cuore continua a battere forte e a domandarsi come si può discutere di bellezza quando nel Mediterraneo quotidianamente assistiamo a una strage, al dolore di tanti uomini, ad intere generazioni che muoiono in un tempo in cui la comunicazione è globale. Come si fa a rimanere insensibili?". 
Dai microfoni di Sky Tg24 è intervenuto il numero uno della lega Nord, Matteo Salvini: "È una tragedia annunciata. Più ne partono più ne muoiono", ha attaccato il leader del Carroccio. "Dalla stage di Lampedusa non è cambiato nulla: partono, annegano o sbarcano, scappano e si alimenta lo scontro sociale. Cosa dobbiamo ancora aspettare per attuare un blocco navale per evitare le partenze? Altri 700 morti? L'ipocrisia di Renzi, Alfano e Boldrini crea solo morte".

LA LUNGA SCIA DI MORTI — Quella che si sta consumando nel Canale di Sicilia è soltanto l'ultima tragedia, forse la più grave, di una lunga drammatica sequenza. Ecco i più recenti precedenti: 
13 aprile 2015: un barcone si capovolge a circa 80 miglia dalle coste della Libia. Nove i morti e 144 i migranti portati in salvo. 
4 marzo 2015: un barcone si rovescia nel Canale di Sicilia, sono 10 le vittime accertate.
11 febbraio 2015: 29 migranti muoiono assiderati in un naufragio a 100 miglia da Lampedusa. L'imbarcazione era partita dalla spiaggia di Tripoli con altri tre gommoni con a bordo almeno un centinaio di persone su ogni mezzo. I superstiti parlano di centinaia di vittime oltre a quelle recuperate. 
19 luglio 2014: altra tragedia a largo di Lampedusa. 18 profughi muoiono asfissiati nella stiva di un barcone a circa 80 miglia dall'isola 
29 giugno 2014: un barcone con a bordo circa 600 migranti e 45 cadaveri viene soccorso dalla Marina militare. 
3 ottobre 2013: al largo delle coste di Lampedusa si consuma una vera e proprio strage. In un naufragio muoiono 366 migranti. 
30 settembre 2013: 13 migranti muoiono in uno sbarco sulla spiaggia di Sampieri, a Scicli, nel tentativo di raggiungere la costa. Presi a cinghiate, i migranti, tutti uomini, erano stati costretti dagli scafisti a buttarsi in mare. Gli immigrati, circa 200, avevano raggiunto la costa ragusana a bordo di un peschereccio che si è arenato a pochi metri dalla riva. 
10 agosto 2013: sei migranti muoiono sulla spiaggia del lungomare della Plaia di Catania, nei pressi del `Lido Verde´, annegando mentre cercano di raggiungere la riva. Sull'imbarcazione viaggiavano oltre 100 extracomunitari. 
11 ottobre 2012: 34 immigrati, tra cui sette bambini e 11 donne, sono le vittime di un naufragio avvenuto a 70 miglia da Lampedusa. Il barcone su cui viaggiano si capovolge mentre i migranti si muovono per farsi notare da un elicottero in ricognizione. Circa 206 migranti, invece, sono portati in salvo dalla Marina Militare. 
1 agosto 2011: 25 profughi, tutti uomini e non ancora trentenni, muoiono asfissiati nella stiva di un barcone partito dalle coste libiche verso Lampedusa. I cadaveri vengono scoperti dagli uomini della Guardia costiera una volta terminato il trasbordo degli extracomunitari. 
19 maggio 2011: tragedia sfiorata per oltre 400 profughi partiti dalla Libia. A bordo del barcone in legno, a circa 20 miglia dalla costa di Lampedusa, si sviluppa un principio di incendio, spento solo grazie all'intervento di quattro finanzieri saliti a bordo prima di effettuare il trasbordo dei migranti. 
14 marzo 2011: nel Canale di Sicilia affonda un barcone con a bordo una quarantina di tunisini. Solo in cinque riescono a salvarsi, gli unici che sapevano nuotare, salendo su un altro barcone diretto a Lampedusa. A raccontare i particolari del naufragio sono gli stessi superstiti appena sbarcati sull'isola. 
4 marzo 2011: un barcone che trasporta 30 immigrati nordafricani naufraga nel Canale di Sicilia, a circa 40 miglia dalla coste del trapanese tra Marsala e l'isola di Marettimo. I migranti sono soccorsi dal motopesca mazarese Alcapa, ma durante le operazioni di trasbordo quattro di loro finiscono in mare, a causa del maltempo. Due vengono subito recuperati dai marinai del peschereccio mazarese, altri due, invece, scompaiono tra le onde del mare in tempesta. 
16 febbraio 2011: nel Canale di Sicilia scompare un barcone di circa 45 metri con a bordo forse oltre 200 immigrati. 
8 maggio 2011: 527 profughi sono salvati in extremis a Lampedusa da un barcone incagliato sugli scogli che rischia di capovolgersi, ma tre di loro, tutti giovanissimi, non ce la fanno e muoiono a un passo dall'agognata meta. 
6 aprile 2011: un barcone partito dalla Libia con 300 persone a bordo si ribalta nel Canale di Sicilia a causa delle cattive condizioni del mare. A più di 12 ore dalla tragedia sono 51 le persone tratte in salvo mentre i dispersi, da quanto emerge dal racconto dei superstiti, sono oltre 200. 
3 aprile 2011: i corpi di 70 migranti morti probabilmente durante una traversata per raggiungere, forse, le coste italiane vengono recuperati al largo della Libia, nei pressi di Tripoli. 
30 marzo 2011: un barcone con a bordo 17 immigrati partiti dalla Libia affonda a largo di Lampedusa. A raccontarlo sono i sei superstiti, secondo cui sarebbero annegati 11 loro compagni durante la navigazione.






martedì 17 febbraio 2015

Come riporta Angelo Del Boca sul Manifesto; il governo italiano irresponsabile. L' intervista e il video:





Parla lo storico del colonialismo sul ruolo dell’Italia nella crisi libica. «L’affermazione del ministro Gentiloni, "Siamo pronti a combattere" e la dimenticanza sulle nostre colpe nel disastro libico, mostrano il vuoto della diplomazia. Va coinvolto subito Romano Prodi»

Abbiamo rivolto alcune domande sull’attuale crisi libica ad Angelo Del Boca, sto­rico del colo­nia­limso ita­liano, della Libia e autore di molti saggi sulla figura di Ghed­dafi (com­presa una impor­tante mono­gra­fia, rie­dita in que­sti giorni in una ver­sione più com­pleta da Laterza).
Come giu­di­chi l’affermazione del mini­stro degli esteri Paolo Gen­ti­loni: «Siamo pronti a com­bat­tere in Libia…», per­ché «è uno Stato fal­lito», sem­bra spie­gare Mat­teo Renzi?
È una dichia­ra­zione irre­spon­sa­bile e impru­dente. Per­ché mette l’accento (salvo mar­gi­nal­mente chia­rire il solito rife­ri­mento all’«egida Onu») pro­prio ad un inter­vento mili­tare dell’Italia che non siamo in grado di fare. Per­ché un conto è atti­vare una guerra aerea come abbiamo fatto nel 2011, un altro com­bat­tere con truppe di terra. È una dichia­ra­zione gra­vis­sima, per­ché siamo spinti den­tro uno sce­na­rio di guerra per il quale siamo ina­datti. Baste­rebbe che i nostri gover­nanti inca­paci stu­dias­sero un po’ la sto­ria, per sco­prire le tante scon­fitte libi­che che abbiamo subito. Altro che inviare 5mila uomini come ha evo­cato la mini­stra della difesa Pinotti. Da inviare con­tro chi? Su quale fronte?
Renzi, che rela­zio­nerà su que­sto gio­vedì in Par­la­mento, sem­bra ora fre­nare e parla di «solu­zione poli­tica». Ma è chiaro che, dopo il sì in patria di Ber­lu­sconi, lavora ad una «coa­li­zione di volen­te­rosi». Ma la situa­zione sem­bra pre­ci­pi­tare: l’Egitto del gene­rale gol­pi­sta Al Sisi, bypas­sando l’Italia, ieri notte ha bom­bar­dato le basi dell’Is a Derna; e ieri mat­tina la Fran­cia ha chie­sto la riu­nione urgente del Con­si­glio di sicu­rezza dell’Onu…
È nello stile di Renzi che vuole gio­care su due tavoli. Il primo è quello da «pro­ta­go­ni­sta», di una mis­sione mili­tare a guida ita­liana. Una cosa mai sen­tita, almeno nel dopo­guerra. L’altro è più pru­dente, viste le dif­fi­coltà reali di una tale enor­mità. Insomma: vabbè, lo fac­ciamo con l’Onu. Che è un atteg­gia­mento più mode­rato e più spen­di­bile. Soprat­tutto di fronte all’atteggiamento del Cairo.
Ieri notte l’aviazione egi­ziana ha bom­bar­dato le posta­zioni dello Stato isla­mico a Derna. Quali rea­zioni pro­voca in Libia l’entrata in campo dell’Egitto con l’offensiva mili­tare del generale-presidente Al Sisi? E qual è la situa­zione poli­tica interna al fronte libico, diviso e frammentato?
L’iniziativa mili­tare egi­ziana è rile­vante, anche se va ricor­dato che è ini­ziata da tempo, infatti aveva già bom­bar­dato nei giorni scorsi Ben­gasi. Di fatto il nuovo regime del Cairo appog­gia il governo libico in esi­lio di Tobruk che fa rife­ri­mento al gene­rale Kha­lifa Haf­tar e al suo eser­cito. Haf­tar com­batte già a Ben­gasi con­tro i jiha­di­sti e sta ria­bi­li­tando espo­nenti del regime di Ghed­dafi. E Al Sisi deve dare una prova di forza per­ché se non difende quel con­fine e il Sinai, per lui è finita. Il fatto è che den­tro la Libia a comin­ciare da Tri­poli, di alleati di Al Sisi non se ne vedono, Tri­poli è persa. Anche per­ché il governo legit­timo libico, eletto da ele­zioni suf­fra­gate dagli osser­va­tori inter­na­zio­nali, è nelle mani della coa­li­zione Al Fajr (Alba), for­ma­zione che va dai Fra­telli musul­mani alla mili­zia Scudo di Misu­rata. Come si ricor­derà nel 2013 il gene­rale Al Sisi ha depo­sto il pre­si­dente Morsi, mas­sa­crato e messo fuori legge i Fra­telli musul­mani. E ora le mili­zie del Calif­fato pun­tano alla con­qui­sta di Misu­rata, gover­nata appunto dalle stesse forze di Tripoli.
Non ti sem­bra che, anche sta­volta, venga taciuto l’interesse ita­liano, ormai deci­sivo, riguardo alle nostre fonti di approv­vi­gio­na­mento energetico?
Que­sto aspetto invece è fon­da­men­tale. Ma Renzi lo tace, anche per­ché la situa­zione dell’Eni in que­sto momento è pastic­ciata e inge­sti­bile. Dopo gli scan­dali legati all’Algeria e soprat­tutto per la crisi in Ucraina che, alla fine, ha sostan­zial­mente pena­liz­zato l’Unione euro­pea e in par­ti­co­lare l’Italia, visto il disa­stro della can­cel­la­zione del South Stream, il fon­da­men­tale mega-progetto di gasdotto euro­peo. Secondo me in que­sta fase — e non solo per l’insicurezza deri­vata dalla guerra per bande ma anche per il mer­cato stor­nato verso altri lidi -, l’Eni non è in grado di estrarre nem­meno un litro di petro­lio dai gia­ci­menti libici.




Come mai tanta arro­ganza e mio­pia del governo ita­liano in que­sta fase della crisi mon­diale?

È per­ché, in modo scel­le­rato, manca una poli­tica estera, una vera diplo­ma­zia ita­liana. Renzi dice che la Libia è uno «Stato fal­lito». E chi l’ha fatto fal­lire se non la guerra del 2011 voluta a tutti i costi dalla Fran­cia di Sar­kozy? Dimen­ti­cano che con quella guerra fug­gi­rono milioni di lavo­ra­tori migranti e di libici, dei quali ora un milione è in Egitto e 600mila in Tuni­sia. Voglio ricor­dare che quando gli aerei della Nato bom­bar­da­vano la Libia nel marzo del 2011, io ammo­nivo «la Libia diven­terà una nuova Soma­lia». È quello che è acca­duto. Ora va coin­volto, in una fun­zione di media­zione inter­na­zio­nale l’alta per­so­na­lità di Romano Prodi, già inviato spe­ciale nel Sahel dell’Onu, che ha espresso più volte la sua con­tra­rietà alla solu­zione mili­tare, e che è visto come inter­lo­cu­tore anche dalle attuali auto­rità di Tri­poli. Subito, prima che sia troppo tardi.






giovedì 4 dicembre 2014

Riunione Italia, Spagna,Malta e Portogallo su crisi Libia

  ad/show_ads.js" type="text/javascript"> Basilea, 4 dic. - Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha partecipato a margine del vertice Osce con i colleghi di Spagna, Malta e Portogallo sulla situazione in Libia. In Libia - ha spiegato il ministro intrattenendosi con i giornalisti - c'e' da una parte un problema di infiltrazione e rafforzamento di posizioni estremistiche e terroristiche e dall'altra che le forze non estremiste si combattono senza accettare l'idea di sedersi attorno ad un tavolo per una ipotesi di riconciliazione. Per questo - ha aggiunto l'Onu sta cercando di mettere insieme i moderati di tutte le fazioni per cercare un percorso legislativo elettorale unitario
  
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