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domenica 8 novembre 2015
VIDEO TRADOTTO IN ITALIANO: Vladimir Putin - il suo intervento all'assemblea generale dell' ONU
Vladimir Putin arriva in ritardo all'assemblea generale Onu: il presidente russo è atterrato a New York mentre già parlava Barack Obama parlava al Palazzo di vetro. Putin, secondo il programma, avrebbe dovuto parlare poco dopo il leader Usa che, nel frattempo, aveva usato toni decisamente duri nei confronti del governo di Mosca. La foto del leader russo che sale sulle scale mobili della sede Onu è stata rilanciata su Twitter da numerosi giornalisti. Obama, nel frattempo, aveva già concluso il suo intervento
mercoledì 22 aprile 2015
Onu, un milione di rifugiati dalla Siria da accogliere in 5 anni
Lo ha detto il relatore speciale Francois Crepeau in una intervista al quotidiano britannico The Guardian. Un piano per contrastare i trafficanti di esseri umani
I Paesi ricchi dovrebbero concordare un piano globale per poter accogliere dalla Siria un milione di rifugiati nei prossimi cinque anni e fermare così i naufragi nel Mediterraneo. Lo afferma il relatore speciale Onu Francois Crepeau in una intervista al quotidiano britannico The Guardian. E' l'inattività dell'Europa, spiega l'esperto, a creare il mercato dei trafficanti di esseri umani. Oltre 1.750 morti sono avvenute nel Mediterraneo quest'anno, ha detto Crepeau, "potremmo invece offrire insieme accoglienza per un milione di siriani per i prossimi cinque anni.
Un piano globale per contrastare i trafficanti di esseri umani. Per un Paese come il Regno Unito questo vorrebbe dire circa 14 mila siriani all'anno per cinque anni. Per il Canada sarebbe meno di 9 mila l'anno per cinque anni, una goccia nel mare. Per l'Australia meno di 5 mila all'anno sempre per cinque anni. Possiamo gestire questo. Il piano globale potrebbe essere esteso fino a sette anni e comprendere altri rifugiati in fuga dai paesi in guerra, come l'Eritrea", ha aggiunto. Per l'esperto si ridurrebbe il mercato dei trafficanti di esseri umani, i costi per le richieste di asilo e soprattutto il numero dei morti
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Ubicazione:
Londra, Regno Unito
sabato 14 marzo 2015
Renzi incontra Al Sisi. La lotta all'Isis priorità comune
Sharm el Sheikh. Bisogna intervenire prima che l'Isis occupi la Libia. E se all'interno della comunità internazionale ci sono ancora "sensibilità" diverse, è il senso di urgenza ad unire tutti i Paesi direttamente o indirettamente coinvolti di fronte alla Libia dilaniata da una guerra che rischia di avere pesanti ripercussioni non solo nella regione ma anche nella vicina Europa, partendo proprio dall'Italia.
Il premier Matteo Renzi parla subito dopo aver incontrato il presidente egiziano al Sisi.
Che in Libia sta intervenendo militarmente e vorrebbe anche ampliare il fronte dei Paesi direttamente impegnati nel Paese nordafricano. "E' normale che ci siano diverse sensibilità a tutti i livelli, ci sono anche all'interno delle istituzioni Onu. Ma con Sisi siamo d'accordo sul fatto che la lotta al terrorismo è la priorità", assicura Renzi, convinto che rispetto ad alcuni mesi fa (Renzi e Sisi sono al terzo incontro), le posizioni si stiano modificando.
"C'è condivisione ampia - assicura - sulla necessità di un intervento rilevante in Libia, da realizzare a partire dagli sforzi diplomatici dell'Onu".
Renzi è arrivato a Sharm el Sheikh, dove si sono riunite 1.800 delegazioni di oltre 70 paesi per siglare importanti accordi economici (oggi l'Eni ne firmerà uno da "un miliardo di euro", ha annunciato il premier), proprio per incontrare il presidente egiziano e proseguire nei colloqui dedicati alla Libia.
venerdì 20 febbraio 2015
Ucraina: la Russia ed i ribelli non vogliono i caschi blu dell’Onu
Il presidente ucraino Poroshenko ha lanciato un appello perché nel territorio del Donbass, arrivino delle forze dell’Onu per "monitorare" la tregua. Appello che è subito stato respinto, sia dalla Russia che dai ribelli, secondo i quali sarebbe una violazione degli accordi presi a Minsk.
Dopo gli accordi che sono stati stretti la scorsa settimana a Minsk, Poroshenko ha richiesto l’invio da parte dell’ONU di forze di pace da dislocare nel Donbass, in modo che possano essere monitorate le varie fasi della tregua concordata. Secondo il presidente ucraino, infatti, in quella zona si assiste al transito di uomini e mezzi che arrivano dalla Russai per sostenere le azioni dei ribelli filorussi.
L’arrivo dei caschi blu è stato però rigettato sia dai ribelli che dalla Russia, in quanto gli accordi siglati a Minsk prevedono la presenza sul terreno solo degli osservatori Osce, e quindi l’arrivo di ispettori ONU rappresenterebbe una violazione degli stessi accordi.
Anche da Bruxelles non sono arrivate notizie confortanti per Poroshenko, in quanto Catherine Ray, una portavoce del servizio diplomatico, ha ricordato che la missione Osce già presente in zona, gode del pieno appoggio della Unione Europea, e che gli accordi siglati non prevedono altre forze di “interposizione”. Da parte dell’Ue ci sarà invece un invio di mezzi blindati e saranno effettuate delle riprese con immagini satellitari, in modo da verificare il rispetto della tregua.
Secondo il Cremlino, la proposta di Poroshenko non è nemmeno stata esaminata nel corso della “conference call” che si è avuta tra Putin, Hollande e la Merkel. Anche l’ambasciatore russo presso le Nazioni Unite, Vitali Ciurkin ha osservato che la presenza di uomini dell’ONU non è prevista dagli accordi di pace e che il fatto di nuove richieste da parte di Poroshenko a soli 7 giorni dalla firma degli accordi, sia preoccupante.
Gli accordi di pace restano comunque abbastanza fragili e nelle ultime ore si sono registrate le uccisioni di 14 soldati ed il ferimento di altri 170. Nel frattempo, la Russia è intervenuta a favore dei ribelli, anche dal punto di vista dell’energia, fornendo metano ai separatisti, dopo che Kiev aveva interrotto le forniture.
Dal prossimo 1° aprile per l’Ucraina si prospetta anche un aumento del costo del gas in quanto scadranno gli accordi che sono stati “mediati” dall’Unione Europea.
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giovedì 19 febbraio 2015
Libia, vertice Onu: Italia pronta a un ruolo guida, video:
L’Egitto preme per una risposta muscolare. Ma le Nazioni Unite scelgono la via politica
Si è riunito il Consiglio di Sicurezza per discutere la drammatica questione libica. Presenti Egitto, Giordania, Libia che hanno chiesto di revocare l’embargo sulle armi del governo di Tobruk, quello riconosciuto dalla comunità internazionale, per potersi difendere dagli attacchi dell’Isis.
La seduta, è stata definita “urgente” dal Rappresentante Permanente italiano alle Nazioni Unite, l'Ambasciatore Sebastiano Cardi, che ha sostenuto che l’Italia “è pronta a contribuire a un monitoraggio del cessate il fuoco e a lavorare in missioni di addestramento per integrare l'esercito dei miliziani con l'esercito regolare”. La missione italiana sarebbe quindi pronta, se l’Onu deciderà di autorizzare l’intervento in Libia che consenta la riunificazione dei due governi e allo stesso tempo di combattere i jihadisti dell’Isis.
L’Italia come aveva sostenuto il ministro degli Esteri Gentiloni punta ad una soluzione politica. Anche l'Egitto ha rinunciato a chiedere un intervento militare internazionale in Libia, nonostante nei giorni scorsi l'Isis abbia decapitato 21 cristiani copti.
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Ubicazione:
Tripoli, Libia
Obama: Guerra contro i traditori dell' islam
Proprio mentre il Consiglio di sicurezza dell’Onu era in corso di svolgimento sono arrivate le parole del presidente americano Barack Obama, impegnato a Washington in un vertice internazionale per il contrasto all’estremismo violento. Il presidente ha ribadito che quella che è in atto non è una guerra tra l’Occidente e l’Islam ne tanto meno una guerra di religione: “Non siamo in guerra con l’Islam, ma contro gente che ha tradito l’Islam”. Secondo Obama “gli estremisti non sono leader religiosi, ma terroristi” che vanno combattuti in quanto tali, indipendentemente dalla religione in nome della quale dicono di agire. Obama ha compreso che la lotta ad Al Qaida e all’Isis passa non solo attraverso l’eliminazione dei leader terroristici, ma anche attraverso il dialogo e ad un’azione congiunta che veda coinvolti tutti.
Il messaggio di Obama ai musulmani: “Schieratevi nella lotta agli estremisti”
Barack Obama poi si è rivolto direttamente ai leader musulmani con un invito molto forte: “Schieratevi nella lotta contro gli estremisti perché la violenza contro innocenti non difende l’Islam, ma danneggia l’Islam e i musulmani”. Un messaggio chiaro che invita chi interpreta la religione musulmana senza fanatismi ed estremismi non solo a prendere le distanze dal terrorismo e dalla violenza, ma ad unirsi al’ Occidente per combatterli. Obama ha aggiunto: “Nessuno può essere sospettato solo a causa della propria fede. Dobbiamo rifuggire dal luogo comune che se qualche musulmano compie atti terribili, tutti i musulmani facciano cose terribili”. Il rischio che Obama intravede con queste sue parole è quello già in atto; infatti molte persone ormai assimilano la religione islamica con il terrorismo. Sappiamo che non è così e che tantissimi musulmani vivono la loro religione senza alcun estremismo, ma con tutti gli avvenimenti legati a Isis e altre organizzazioni terroristiche che agiscono in nome dell’Islam è sempre più difficile fare certe distinzioni. Se l’appello di Obama venisse ascoltato e leader musulmani influenti prendessero forti posizioni contro la violenza sarebbe senza dubbio un grosso passo in avanti nella lotta al terrorismo di matrice islamica. E’ proprio in quest’ottica che Obama ha detto che “odio e intolleranza non avranno mai spazio negli Stati Uniti” e che bisogna “mobilitare tutti contro il terrorismo”.
Ubicazione:
Washington, Distretto di Columbia, Stati Uniti
martedì 17 febbraio 2015
Come riporta Angelo Del Boca sul Manifesto; il governo italiano irresponsabile. L' intervista e il video:
Parla lo storico del colonialismo sul ruolo dell’Italia nella crisi libica. «L’affermazione del ministro Gentiloni, "Siamo pronti a combattere" e la dimenticanza sulle nostre colpe nel disastro libico, mostrano il vuoto della diplomazia. Va coinvolto subito Romano Prodi»
Abbiamo rivolto alcune domande sull’attuale crisi libica ad Angelo Del Boca, storico del colonialimso italiano, della Libia e autore di molti saggi sulla figura di Gheddafi (compresa una importante monografia, riedita in questi giorni in una versione più completa da Laterza).
Come giudichi l’affermazione del ministro degli esteri Paolo Gentiloni: «Siamo pronti a combattere in Libia…», perché «è uno Stato fallito», sembra spiegare Matteo Renzi?
È una dichiarazione irresponsabile e imprudente. Perché mette l’accento (salvo marginalmente chiarire il solito riferimento all’«egida Onu») proprio ad un intervento militare dell’Italia che non siamo in grado di fare. Perché un conto è attivare una guerra aerea come abbiamo fatto nel 2011, un altro combattere con truppe di terra. È una dichiarazione gravissima, perché siamo spinti dentro uno scenario di guerra per il quale siamo inadatti. Basterebbe che i nostri governanti incapaci studiassero un po’ la storia, per scoprire le tante sconfitte libiche che abbiamo subito. Altro che inviare 5mila uomini come ha evocato la ministra della difesa Pinotti. Da inviare contro chi? Su quale fronte?
Renzi, che relazionerà su questo giovedì in Parlamento, sembra ora frenare e parla di «soluzione politica». Ma è chiaro che, dopo il sì in patria di Berlusconi, lavora ad una «coalizione di volenterosi». Ma la situazione sembra precipitare: l’Egitto del generale golpista Al Sisi, bypassando l’Italia, ieri notte ha bombardato le basi dell’Is a Derna; e ieri mattina la Francia ha chiesto la riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu…
È nello stile di Renzi che vuole giocare su due tavoli. Il primo è quello da «protagonista», di una missione militare a guida italiana. Una cosa mai sentita, almeno nel dopoguerra. L’altro è più prudente, viste le difficoltà reali di una tale enormità. Insomma: vabbè, lo facciamo con l’Onu. Che è un atteggiamento più moderato e più spendibile. Soprattutto di fronte all’atteggiamento del Cairo.
Ieri notte l’aviazione egiziana ha bombardato le postazioni dello Stato islamico a Derna. Quali reazioni provoca in Libia l’entrata in campo dell’Egitto con l’offensiva militare del generale-presidente Al Sisi? E qual è la situazione politica interna al fronte libico, diviso e frammentato?
L’iniziativa militare egiziana è rilevante, anche se va ricordato che è iniziata da tempo, infatti aveva già bombardato nei giorni scorsi Bengasi. Di fatto il nuovo regime del Cairo appoggia il governo libico in esilio di Tobruk che fa riferimento al generale Khalifa Haftar e al suo esercito. Haftar combatte già a Bengasi contro i jihadisti e sta riabilitando esponenti del regime di Gheddafi. E Al Sisi deve dare una prova di forza perché se non difende quel confine e il Sinai, per lui è finita. Il fatto è che dentro la Libia a cominciare da Tripoli, di alleati di Al Sisi non se ne vedono, Tripoli è persa. Anche perché il governo legittimo libico, eletto da elezioni suffragate dagli osservatori internazionali, è nelle mani della coalizione Al Fajr (Alba), formazione che va dai Fratelli musulmani alla milizia Scudo di Misurata. Come si ricorderà nel 2013 il generale Al Sisi ha deposto il presidente Morsi, massacrato e messo fuori legge i Fratelli musulmani. E ora le milizie del Califfato puntano alla conquista di Misurata, governata appunto dalle stesse forze di Tripoli.
Non ti sembra che, anche stavolta, venga taciuto l’interesse italiano, ormai decisivo, riguardo alle nostre fonti di approvvigionamento energetico?
Questo aspetto invece è fondamentale. Ma Renzi lo tace, anche perché la situazione dell’Eni in questo momento è pasticciata e ingestibile. Dopo gli scandali legati all’Algeria e soprattutto per la crisi in Ucraina che, alla fine, ha sostanzialmente penalizzato l’Unione europea e in particolare l’Italia, visto il disastro della cancellazione del South Stream, il fondamentale mega-progetto di gasdotto europeo. Secondo me in questa fase — e non solo per l’insicurezza derivata dalla guerra per bande ma anche per il mercato stornato verso altri lidi -, l’Eni non è in grado di estrarre nemmeno un litro di petrolio dai giacimenti libici.
Come mai tanta arroganza e miopia del governo italiano in questa fase della crisi mondiale?
È perché, in modo scellerato, manca una politica estera, una vera diplomazia italiana. Renzi dice che la Libia è uno «Stato fallito». E chi l’ha fatto fallire se non la guerra del 2011 voluta a tutti i costi dalla Francia di Sarkozy? Dimenticano che con quella guerra fuggirono milioni di lavoratori migranti e di libici, dei quali ora un milione è in Egitto e 600mila in Tunisia. Voglio ricordare che quando gli aerei della Nato bombardavano la Libia nel marzo del 2011, io ammonivo «la Libia diventerà una nuova Somalia». È quello che è accaduto. Ora va coinvolto, in una funzione di mediazione internazionale l’alta personalità di Romano Prodi, già inviato speciale nel Sahel dell’Onu, che ha espresso più volte la sua contrarietà alla soluzione militare, e che è visto come interlocutore anche dalle attuali autorità di Tripoli. Subito, prima che sia troppo tardi.
Ubicazione:
Tripoli, Libia
giovedì 4 dicembre 2014
Riunione Italia, Spagna,Malta e Portogallo su crisi Libia
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Basilea, 4 dic. - Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha partecipato a margine del vertice Osce con i colleghi di Spagna, Malta e Portogallo sulla situazione in Libia. In Libia - ha spiegato il ministro intrattenendosi con i giornalisti - c'e' da una parte un problema di infiltrazione e rafforzamento di posizioni estremistiche e terroristiche e dall'altra che le forze non estremiste si combattono senza accettare l'idea di sedersi attorno ad un tavolo per una ipotesi di riconciliazione. Per questo - ha aggiunto l'Onu sta cercando di mettere insieme i moderati di tutte le fazioni per cercare un percorso legislativo elettorale unitario
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Basilea, Svizzera
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