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domenica 25 giugno 2017

Tyson: The last interview





The interview with the militiaman "Tyson" by Chega (Rot Front) in the hotel where the militants of the Prizrak Brigade rest, in the city of Alchevsk (People's Republic of Lugansk).

"Tyson" was killed by the Kyiv government's troops on May 7, 2017 in Frunze village. His life ends up on Donbass's land, like that of hundreds of other valiant men and women who have decided to face this war in the forefront. Their faces are so many and we will never forget them.


In Donbass non c’è la pace, ma neanche una guerra nella accezione classica del termine, è una situazione congelata che continua a mietere vittime, civili e militari, su ogni lato del fronte.
La guerra combattuta con le armi per me è finita da mesi, aspetto dei documenti con cui poter tornare a casa. Sto nelle retrovie in una struttura della Prizrak dove vanno a riposare i soldati durante i congedi.  Un luogo particolarmente noioso. Per fortuna ogni tanto vi giungono anche i compagni più cari con cui si possono passare dei bei momenti. Verso la metà d’aprile arrivò Tyson, aveva preso due settimane di riposo per recuperare dalle fatiche della guerra. Era un vero comunista, critico con gli attuali partiti comunisti, si considerava “sovietico”. Era buono e estremamente positivo. Aveva il fisico da pugile, sport che adorava. Vestiva solo con uniformi della guerra in Afganistan, ce le aveva tutte, estive ed invernali. Sul berretto, oltre alla stella rossa con falce e martello, aveva la spilletta della gioventù comunista dell’Unione Sovietica. Fui molto felice di stare con lui, era un vero amico. Oltretutto parlava un po di inglese, con il quale sopperivamo alle carenze del mio russo, quindi il confronto poteva essere più approfondito. Avevamo una buona sintonia politica, vedevamo le cose in maniera analoga. Eravamo anche d’accordo sul fatto che la guerra aveva preso una piega senza senso, se non veniva dato l’ordine d’attaccare su vasta scala si sarebbe potuti rimanere per decenni in una situazione di tensione che tuttavia causa la morte di tante persone. Questa prospettiva gli sembrava insensata, ma era pronto ad andare avanti nella lotta, qualsiasi cosa pur di non riconsegnare neanche un centimetro di terra ai fascisti.
Un giorno mentre mangiavamo gli dissi che nel giro di pochi giorni sarebbe arrivata la Carovana Antifascista e gli spiegai il progetto. Era sbigottito, pensava che lo prendessi in giro, non poteva credere che in questo posto sperduto avrebbe potuto incontrare uno dei suoi gruppi preferiti. Amava la Banda Bassotti e non avrebbe mai pensato che avrebbe potuto incontrarla proprio qui. Il suo congedo sarebbe finito il 30 aprile, esattamente il giorno in cui era previsto l’arrivo della Carovana, le cose sembravano filare al meglio. Purtroppo il 29 aprile venne richiamato d’urgenza in servizio, avevamo subito un attacco in cui erano morti 5 compagni e lui doveva partecipare al rimpiazzo delle vittime. Era molto dispiaciuto per non poter partecipare all’incontro, ci consolammo promettendoci di andare a vedere insieme un concerto della Banda Bassotti, o in Donbass, o a Mosca, o a Roma quando mi sarebbe venuto a trovare dopo la fine della guerra. Tornò al fronte, ci salutammo con un “arrivederci” e non con un “addio”, gli promisi che prima di partire lo sarei andato a salutare.
Il 7 maggio abbiamo subito un duro attacco, con diverse perdite. Tyson era uno di loro. Non lo rivedrò più. Le promesse fattemi con lui finiranno nel mucchio di quelle che non potranno essere mantenute a causa della morte; queste promesse sono tante, sempre di più. Ogni volta che muore un compagno è un colpo molto duro, ma quando questo è anche un amico, il dolore è insostenibile.
Lui concordava con la mia scelta di continuare la lotta solo sul piano politico, almeno fino al giorno in cui non ci saranno offensive su vasta scala, quindi non cambierò la mia idea, anzi la rafforzerò per lui e per tutti gli altri compagni caduti.
Tyson e gli altri sono morti per un mondo migliore, un mondo socialista, ora sta a noi costruirlo. Questo è il modo migliore d’onorare la loro memoria.

Ora i nostri pugni si levano al cielo per salutarvi, ma poi torneranno a colpire i nostri nemici.

Nemo, Alchevsk 7 maggio 2017





   



domenica 27 dicembre 2015

VIDEO: Iraq, truppe governative riconquistano Ramadi









RAMADI (IRAQ), 27 DICEMBRE 2015
 – Le truppe irachene sono penetrate nella città di Ramadi, strappandola al controllo dell’Isis, che era riuscito a conquistarla lo scorso maggio. Lo riferiscono alcune fonti locali della Bbc.
Secondo quanto riportato dal network inglese, le truppe irachene sarebbero in procinto di entrare in possesso dell’edificio governativo della città posto nel quartiere di Hoz, ultimo baluardo delle forze dello stato islamico. La loro intenzione sarebbe quella di procedere lentamente – per paura di eventuali ordigni piazzati tra le mura del palazzo – al fine di controllare stabilmente la postazione.

Contiamo di raggiungere la struttura nelle prossime 24 ore”, ha riferito Sabah al-Numani, un portavoce militare iracheno. L’avanzata è fortemente rallentata dalla resistenza messa in campo dall’Is: “Sono ovunque nelle strade e il percorso deve essere ripulito”, ha continuato al-Numani, spiegando che sui tetti degli edifici sono nascosti diversi cecchini, mentre sul terreno la presenza di bombe nascoste è quasi una costante.“La sorveglianza aerea dall'alto ci sta aiutando a individuare autobomba e kamikaze”, ha aggiunto al-Numani.






Le operazioni per la riconquista della città di Ramadi, a meno di 100 chilometri da Baghdad, sono iniziate lo scorso novembre. Se le truppe irachene riuscissero a prendere di nuovo possesso del territorio, si tratterebbe della più significativa conquista militare da parte delle truppe governative: una simile vittoria, infatti, allontanerebbe la minaccia di un’influenza dello stato islamico sulla capitale, andando ad aprire un varco verso Mosul, ossia la base del califfato.






sabato 5 dicembre 2015

VIDEO: Conferenza stampa russa sul traffico petrolio in Siria tra lo Stato Islamico, Turchia, Italia.








Siria, un’altra guerra per il petrolio

Con la scusa della lotta all’ISIS, le potenze occidentali puntano a controllare le ingenti risorse di petrolio e di gas del paese, e ad indebolire l’influenza della Russia e dell’Iran nella regione.







Le grandi imprese energetiche statunitensi, britanniche, francesi ed israeliane potrebbero essere le principali beneficiarie delle operazioni militari in Iraq e in Siria, finalizzate ad arginare il potere dello “Stato Islamico” (ISIS) e, potenzialmente, anche del regime di Bashar al-Assad.
Uno studio realizzato nel 2011, nel pieno della primavera araba, da una società di servizi petroliferi legata al governo francese e all’attuale amministrazione britannica, notava il significativo «potenziale idrocarburico» dei giacimenti offshore della Siria.
Lo studio fu pubblicato su GeoArabia, una rivista di settore pubblicata dalla società di consulenza del Bahrain GulfPetroLink, a sua volta sponsorizzata da alcune delle più grandi imprese petrolifere al mondo, tra cui Chevron, ExxonMobil, Saudi Aramco, Shell, Total e BP.
Lo studio, firmato da Steven A. Bowman, geoscienziato della compagnia energetica francese CGGVeritas, identifica «tre bacini sedimentari – Levante, Cipro e Laodicea – localizzati al largo delle coste siriane».
L’affaire segreto della Francia con la Siria di Assad
Durante la primavera araba, mentre la Siria sprofondava nel caos, la CGGVeritas operava nel paese per conto del ministero del petrolio e delle risorse naturali del presidente siriano Bashar al-Assad.
La compagnia francese è una delle principali società di prospezione sismica al mondo. Controllata al 18 per cento dal governo francese, la CGGVeritas aveva già acquisito dati sismici sui bacini offshore siriani nel 2005, e da allora era stata diventata la principale fornitrici di dati geofisici e geologici del regime siriano.
Nel 2011, la società francese aveva firmato col governo siriano un contratto esclusivo per offrire supporto tecnico per il “bando offshore internazionale” di quell’anno, finalizzato all’assegnazione dei diritti di esplorazione e di produzione di gas e di petrolio per i tre blocchi offshore al largo della costa siriana, nel Mar Mediterraneo.
Nell’articolo citato, Bowman – che è stata anche coinvolto nell’analisi dei dati sismici delle risorse energetiche libiche – descrive i bacini offshore della Siria come «una vera zona di frontiera dell’esplorazione», notando l’esistenza di varie “zone piatte”, che, se confermate, «rappresenterebbero degli obiettivi di trivellazione da svariati miliardi di barili/trilioni di piedi cubi».
Le grandi imprese energetiche fanno la corte ad Assad
La CGGVeritas ha anche effettuato lavori di prospezione e di coordinamento dei bandi nel Mare del Nord per conto del governo britannico.
Nel 2012, il dipartimento degli interni statunitense ha pubblicato uno studio geologico in cui notava che la Syrian Petroleum Co., di proprietà del governo di Assad,
cooperava con diverse società petroliere occidentali, tra cui la Chinese National Petroleum Co. (CNPC), la Gulfsands Petroleum (Regno Unito), la Oil and Natural Gas Resources Corp. (India), la Royal Dutch Shell (Regno Unito) e la Total SA (Francia) per mezzo di società affilate.
Due anni prima, la capitale Siriana, Damasco, aveva ospitato la settima esibizione internazionale siriana del petrolio e del gas, convocata dal ministero del petrolio di Assad. L’esibizione fu sponsorizzata dalla CNPC, dalla Shell e dalla Total francese, e vide la partecipazione di centinaia di rappresentanti delle imprese internazionali, il 40 per cento delle quali erano basate in Europa.
Un memo del 2010 redatto dagli organizzatori dell’evento, Allied Expo, per conto del ministero del petrolio siriano, spiega come la società britannica Shell contava di lavorare a stretto contatto con il regime di Assad.



lunedì 16 novembre 2015

La Francia invia caccia da bombardamento su Raqqa, roccaforte dello Stato islamico in Siria








La Francia passa subito al contrattacco dopo i brutali attentati dell’Isis
 che hanno messo in ginocchio Parigi venerdì scorso. Secondo gli attivisti anti-Isis, una pioggia di bombe francesi si sta abbattendo in queste ore su Raqqa, roccaforte dello Stato islamico in Siria.
Si parla apertamente di “almeno 30 i raid aerei che si sono intensificati in serata”. Il ministero della Difesa francese ha individuato in Raqqa la base del Califfato dove gli attentatori che hanno attaccato Parigi si sarebbero addestrati e riforniti di armi.
Ma la Francia non è sola in questa vasta operazione militare. Gli Stati Uniti stanno fornendo importanti dati di intelligence per i raid in Siria, informa il Wall Street Journal. Le ultime informazioni che giungono dalla Siria parlano di bombardamento a tappeto su tutti gli obiettivi più importanti.
10 jet impegnati,  annuncia il ministero della Difesa, avrebbero colpito anche il centro di addestramento e un altro per il reclutamento. Una risposta decisa quella francese che, di fatto, non ha atteso i pareri delle grandi potenze del G20. Eccezion fatta, ovviamente, per quanto riguarda gli Usa.
Intanto emerge con sempre maggiore decisione la voce secondo la quale sia stato il Califfo dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi in persona ad ordinare di colpire i Paesi “nemici” creando un’unità specifica per la pianificazione degli attacchi terroristici. Cellula terroristiche composte “da 24 elementi, 19 con il compito di effettuare gli attentati, addestrati a Raqqa”,
Previsti anche “altri 5 per il coordinamento e la logistica”. Gli 007 iracheni, però, sembra che avessero già avvertito la Francia, nel giorno precedente gli attacchi di Parigi, sull’imminente azione terroristica dell’Isis. Una segnalazione forse sottovalutata dal Governo francese.



domenica 8 novembre 2015

VIDEO: Medio Oriente, serie di attacchi, Netanyahu tenta di calmare la situazione








La polizia ha comunicato che l'aggressore palestinese è stato ucciso. Si tratta dell'ultimo episodio in un'ondata di violenze e scontri che stanno investendo l'area.
Due aggressioni oggi in Cisgiordania contro israeliani. Una guardia civile israeliana è stata invece accoltellata in modo leggero da una palestinese nell'insediamento ebraico di Beitar Illit (Betlemme). Non è stato precisato se la palestinese sia stata uccisa.



martedì 13 ottobre 2015

VIDEO: Marina Russa riprende il lancio dei missili cruise contro postazioni dell' Isis






- La Russia ha proposto di tenere una riunione internazionale a Mosca sulla Siria, nonché di inviare una delegazione a Washington, guidata dal primo ministro Dmitry Medvedev. Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin, aggiungendo che l'incontro con Barack Obama a New York "è stato molto franco. In generale, abbiamo visto l'interesse dei nostri partner di lavorare insieme". 

Putin ha specificato: "Abbiamo proposto un incontro al più alto livello politico e militare a Mosca, ho detto che ero pronto ad inviare una folta delegazione a Washington per discutere la soluzione siriana. Finora, la risposta non c'è. Potrebbe essere una delegazione guidata dal primo ministro Dmitry Medvedev. Potrebbero entrarvi militari e il vice capo del livello di Stato Maggiore, servizi speciali". Ma secondo Putin "è necessario trasferire il lavoro a un livello più alto" ha detto Putin.



 




lunedì 12 ottobre 2015

VIDEO: Putin: siamo in Siria per stabilizzare le legittime autorità





Putin ha incontrato a Sochi il principe ereditario di Abu Dhabi per discutere di Siria

Il leader del Cremlino Vladimir Putin ha incontrato oggi a Sochi (Russia) il ministro della Difesa saudita, Mohammad bin Salman Al-Saud, col quale ha discusso i passi per stabilire il processo di pace in Siria.






Lo rende noto il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov, aggiungendo che Putin comprende le preoccupazioni saudite. Il presidente russo e il ministro della difesa saudita hanno discusso anche dei rapporti nella sfera tecnologico-militare e di cooperazione bilaterale.
Nell'incontro, ha riferito ancora Lavrov, Putin ha confermato al ministro della Difesa saudita che le forze aeree russe colpiscono obiettivi Isis.
In precedenza il leader del Cremlino aveva incontrato anche il principe ereditario di Abu Dhabi Mohammed Bin Zayed al-Nahyan, che è il vice comandante delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti.



giovedì 8 ottobre 2015

VIDEO: Siria si combatte, la Nato accusa Putin: "La Russia non mira all' Isis





DAMASCO (SIRIA) - Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, accusa la Russia di sostenere le forze a favore del regime di Assad e, in tal modo, di minare l’intervento militare della coalizione occidentale in Siria. “La Russia non mira all'Isis ma agli altri gruppi e sostiene il regime di Assad e questo non è un contributo costruttivo”, ha infatti dichiarato Stoltenberg prima della riunione dei ministri della Difesa dell’Alleanza a Bruxelles. Il segretario generale della Nato ha aggiunto che in Siria si è assistito ad “una problematica escalation di azioni militari russe”, motivo per cui l’organizzazione si dichiarerebbe “pronta a difendere tutti gli alleati, compresa la Turchia, e pronta a dispiegare le forze in Turchia se necessario”. In particolare, l’intervento militare di Mosca risulterebbe dannoso nella prospettiva in cui si sostenga l’idea dell’inefficacia sul lungo periodo di una soluzione militare e della necessità di una transizione, per la quale Assad deve lasciare il potere.
Proprio ieri il Dipartimento di Stato americano ha accusato Mosca di aver compiuto oltre il90% dei bombardamenti in Siria non contro l’Isis o Al Qaeda, ma contro gli oppositori di Assad. Accuse simili provengono anche da Gran Bretagna e Germania. Il ministro della Difesa inglese, Michael Fallon, ha detto: “La Russia sta rendendo molto più pericolosa una situazione già molto seria. Chiederemo esplicitamente alla Russia di smettere di sostenere il regime di Assad e di usare costruttivamente la sua influenza sul regime perché fermi il 'barrel bombing' sui civili. Deve smettere il bombardamento in zone non controllate dall'Is e dare più sostegno a paesi come Turchia e Giordania”. Il ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, ha aggiunto: “E' importante anche per la Russia capire che se si attacca chi lotta contro l'Isis, si rafforza l'Isis. E questo non è nell'interesse della stessa Russia”. Intanto, alcune Ong americane hanno denunciato il bombardamento di alcune strutture ospedaliere da parte di cacciabombardieri russi.






Ma la Russia smentisce tutto e, anzi, dichiara che gli attacchi dell’aviazione russa in Siria hanno messo fuori gioco “le capacità militari dell'Is e di altre organizzazioni terroristiche”. Lo conferma anche il tenente generale Ali Abdullah Ayyoub, che ha spiegato che l’esercito siriano ha sferrato un attacco decisivo contro i terroristi per liberare città e villaggi di cui gli estremisti islamici avevano preso il controllo. Inoltre, il direttore dell’Osservatorio siriano per diritti umani, Rami Abdulrahman, ha dichiarato che le truppe del governo siriano e le milizie alleate, sostenuto dagli attacchi aerei russi, hanno lanciato un’offensiva contro i ribelli dell’altopiano del Ghab, nell’ovest del Paese.



domenica 4 ottobre 2015

VIDEO: Siria un conflitto complesso e le dichiarazioni di Assad non fanno bene all' Occidente





– Secondo le dichiarazioni del vice-comandante dello staff generale delle forze armate russe, generale Andrei Kartapalov (uno degli ufficiali russi colpitidalle sanzioni europee), “a partire dal 30 settembre, l’aviazione russa ha effettuato oltre 60 missioni sul territorio della Repubblica araba di Siria, colpendo oltre 50 obiettivi infrastrutturali dell’Isis, tra cui centri di comando, depositi di esplosivi e munizioni, centri di comunicazione, piccoli impianti per la produzione di armamenti destinati ad attacchi terroristici, campi di addestramento per militanti”.
Le incursioni – precisa il generale – sono state condotte 24 ore su 24 dalla base aerea di Hmeymim fino molto all’interno del territorio siriano. Tali sforzi sono risultati nella distruzione di materiale e basi tecniche dei terroristi e hanno considerevolmente ridotto il loro potenziale di combattimento”.
Il successo dei primi tre giorni di operazioni appare tanto elevato che “le missioni aeree russe non solo continueranno ma aumenteranno d’intensità”, continua la lunga dichiarazione, che nel seguito dimostra il pieno controllo della situazione: “Abbiamo notificato tempestivamente l’inizio delle operazioni contro l’Isis: nella mattina del 30 settembre, l’addetto militare americano inIraq colonnello Hadi Petro è stato uno dei primi a esserne informato dal generale [russo] Kuralenko”, mentre “i colleghi stranieri sono stati informati… ed è stato raccomandato loro di ritirare tutti gli istruttori e consiglieri nonché le persone [ribelli ‘moderati’] che sono stati addestrati con i soldi dei contribuenti Americani” – qui l’ironia è piuttosto diretta.






L’ultima parte del comunicato assume poi un tono sferzante e tassativo, impensabile soltanto un paio di anni fa: “È stato anche raccomandato di bloccare qualsiasi volo aereo nell’area di azione dell’aviazione russa. A proposito, esperti Americani ci hanno informati che nel distretto [oggetto delle operazioni] non c’era nessuno eccetto terroristi.
… Chiunque sia interessato a contrastare i terroristi dell’Isis è stato invitato a partecipare a questa operazione, coordinando le azioni.
Abbiamo apertamente richiesto di condividere tutte le informazioni utili riguardo alle strutture dell’Isis sul territorio della Siria. Si deve riconoscere che ad oggi tali informazioni sono ricevute soltanto dai colleghi di Iran, Iraq e Siria. Siamo aperti al dialogo con tutti i Paesi interessati che volessero fornire contributi significativi”. L’alleanza è così delineata.

Nel video sottostante è possibile apprezzare cosa avviene quando i Russi individuano un “centro di comando” dell’Isis.
Secondo il Cremlino, la struttura mostrata nel video era un “centro di comando rinforzato vicino a Raqqah”, colpito da jet da combattimento Su-34 con bombe anti-bunker Betab-500, in grado di penetrare i rinforzi in calcestruzzo ed esplodere una volta all’interno che, secondo Igor Konashenkov, portavoce del Ministero della difesa di Mosca, “ha eliminato il centro di comando di uno dei gruppi terroristici, insieme a un deposito sotterraneo di esplosivi e munizioni: la potente esplosione all’interno del bunker indica che questo era utilizzato anche per immagazzinare una grande quantità di munizioni”, aggiungendo che tutti i raid “sono preceduti da una estesa sorveglianza per mezzo di droni e sono condotti a qualsiasi ora del giorno e della notte e in qualsiasi condizione atmosferica”.
Secondo numerosi analisti, l’esito della guerra contro gli jihadisti in Siria potrebbe essere questione di settimane invece che di mesi, il che sarebbe non soltanto estremamente imbarazzante per Washington, ma proverebbe molto efficacemente che gli Usa non si sono mai veramente impegnati per liberare la Siria dai gruppi estremisti, puntando unicamente alrovesciamento del legittimo governo di Bashar Al-Assad.
Il caos, la carneficina e l’emergenza umanitaria provocate dagli sforzi congiunti degli Stati Uniti, dell’Arabia Saudita e del Qatar per rovesciare Assad, in quella che recentemente su queste colonne abbiamo classificato come la guerra dei gasdotti, coinvolgendo l’Europa nel ruolo, come sempre passivo, di destinataria di immensi flussi migratori, ha fornito all’Iran e alla Russia – non a caso la controparte rispetto agli stessi gasdotti – un’opportunità unica per affermarsi come potenze egemoni nel medio oriente, molto al di là della Siria stessa. Cosa che ovviamente non sarebbe stata nemmeno immaginabile senza la vittoriosa resistenza prima iraniana e poi russa alle pressioni politiche, economiche e militari americane.
Prima di tutto, all’Iran si prospetta la continuità del collegamento con la potente formazione libanese di Hezbollah, e alla Russia la conservazione della sua storica alleanza con la Siriaincluse le basi militari, che da quella navale di Tartus si sono estese alle installazioni aereonautiche realizzate e tempo di record.
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L’asse Beirut – Damasco – Baghdad – Teheran che si va delineando in medio oriente, sostenuta da Russia e Cina
Inoltre, l’Iran da anni esercita la propria influenza sull’Iraq attraverso le milizie sciite (gli sciiti sono maggioranza nel paese) controllate dal comandante dei reparti iraniani di élite, i cosiddetti Quds, generaleQasem Soleimani, di cui sono note le frequentazioni al Cremlino. L’asse Mosca – Teheran può così ambire a espellere letteralmente gli americani da Baghdad, di cui l’accordo di cooperazione tra i servizi di intelligence di Iraq, Russia e Siria, sostenuto dall’Iran e annunciato alla fine di settembre, rappresenta un passo significativo. Altrettanto importante è stato l’intenso reclutamento di forze da parte delle milizie sciite irachene sotto il controllo iraniano, confluite già dall’anno scorso nella nuova formazione chiamata Kataib Al-Imam (Kia), la cui ossatura è stata fornita dall’esercito del Mahdi di Muqtada al-Sadr, potentissimo esponente sciita di Baghdad ritenuto a suo tempo tra i responsabili della decisione di impiccare Saddam Hussein (che, a sua volta, ne aveva fatto giustiziare il padre). Truppe ben addestrate del Kia sono impegnate nei combattimenti in Siria almeno dallo scorso mese di luglio, mentre un incontro operativo del generale Soleimani con ufficiali russi è sicuramente avvenuto il 24 dello stesso mese.
I combattenti iracheni e i volontari iraniani si stanno progressivamente spostando dall’Iraq alla Siria, soprattutto grazie alla decisiva copertura aerea fornita dalla Russia, unendosi così alle milizie di Hezbollah da tempo operanti nel paese.
A tutto questo deve aggiungersi l’annuncio di Baghdad, secondo il quale l’Iraq richiede ufficialmente e apertamente l’intervento dell’aviazione russa anche in Iraq contro le postazioni dell’Isis, indicando che una volta che Mosca e Teheran abbiano stabilizzato la Siria e il governo di Assad, la campagna congiunta dall’aria e sul terreno si sposteranno in Iraq, completando il vero e proprio “colpo di mano” che appare destinato a cambiare per lungo tempo gli assetti di potere e controllo in medio oriente.
Così il primo ministro iracheno Haider al-Abadi: “Siamo favorevoli ad un dispiegamento di truppe russe in Iraq per combattere le forze dell’Isis. Mosca potrebbe così fare i conti anche con i 2500 ceceni musulmani che lottano con lo Stato islamico in Iraq”.
Per completare il quadro territoriale, i russi hanno annunciato di voler fornire armamenti avanzati anche al Libano in funzione anti-terroristica, inclusi sofisticati sistemi anti-aereo, già consegnati recentemente all’Iran e ovviamente presenti in Siria – e prossimamente in Iraq – al seguito delle forze di Mosca.
Un risultato di tutto questo dispiegamento di forze è che lo stesso Israele non potrà più nemmeno immaginare di effettuare raid aerei contro postazioni di Hezbollah in Libano o in Siria, né qualsiasi altra operazione nell’area, che non sia gradita a Mosca. Non per questo, tuttavia, la sicurezza dello Stato ebraico appare più compromessa rispetto al passato.
Sul piano politico e diplomatico, infine, è da sottolineare che la stessa Cina non è rimasta alla finestra, prima dispiegando la portaerei Liaoning attualmente ancorata al porto diTartus, come confermato dal presidente del Comitato di Stato della Difesa della Duma russa Vladimir Komoyedov. A bordo della stessa portaerei saranno schierati ibombardieri cinesi di quarta generazione J-15, destinati ad affiancare le forze russe nei raid contro il califfato e le altre formazioni terroristiche. Sui tempi di tale impegno c’è incertezza, ma sul sito di intelligence israeliano Debka si parla di “giorni”.
Sembra quindi scattato il meccanismo delle alleanze sancite dalla Shanghai Cooperation Organization (Sco), guidato proprio da Russia e Cina, con l’Iran per il momento nel ruolo di “osservatore”.
Rimane soltanto un gigantesco interrogativo: a fronte di questa immensa débâcle dell’occidente, per non parlare del consiglio di cooperazione del golfo a guida saudita e qatariota, gli Stati Uniti e almeno il fido alleato britannico reagiranno in qualche modo, oppure rinunceranno senza colpo ferire al controllo del flusso del gas medio-orientale verso l’Europa nonché a gran parte dell’influenza politica e militare su un’area tanto vasta quanto strategica? Accetteranno che lo stesso gas, e forse in prospettiva perfino il petrolio della penisola arabica, sia scambiato in valute diverse dal dollaro? Lasceranno Israele potenzialmente in balia della volontà iraniana?
Per il momento, sul terreno rimane il cadavere della fallimentare strategia americana del controllo attraverso il caos e delle iniziative estranee alla legalità internazionale, sonoramente sconfitta dall’approccio russo che, come in Crimea e nel Donbass, ha subordinato qualsiasi intervento alla dimostrazione dell’effettiva volontà e del coraggio dei popoli. Quello dei siriani, stretti intorno al proprio presidente, è stato più che sufficiente



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sabato 22 agosto 2015

VIDEO: I bombardamenti su Donetsk del 14 Agosto: i regali ucraini di Ferragosto nel completo silenzio mediatico internazionale





Ucraina, bombardamenti sull'Est del Paese

Colpite le roccaforti dei ribelli. Morti tra i civili.

In un bombardamento d'artiglieria che il 13 agosto ha colpito la zona Est di Lugansk, in Ucraina, sono morti «molti civili».
Lo ha comunicato il Comune della città sul proprio sito internet ufficiale, precisando che il 14 agosto è il 12 esimo giorno che Lugansk è senza elettricità e acqua corrente. Nelle ultime ore l'esercito ucraino ha circondato completamente la roccaforte separatista nell'Ucraina orientale, e ha ripreso il controllo della strada che connette la città alla frontiera russa riconquistando il villaggio di Novosvitlivka.
BOMBE VICINO A DONETSK. Lugansk non è l'unica città colpita nelle ultime ore: un civile è morto e altri 11 sono rimasti feriti in un bombardamento che nella notte si è abbattuto sul borgo di Mospino, vicino Donetsk.
Anche il quartiere Budionovski, a Donetsk, è stato colpito dall'artiglieria di Kiev e delle bombe sono esplose nel territorio dell'ospedale numero 12 dell'importante città dell'Ucraina orientale. L'agenzia ufficiale russa Itar-Tass accusa le truppe ucraine di sparare con i poco precisi missili Grad.
Da quanto ha comunicato il portavoce del Consiglio di sicurezza ucraino, Andrii Lisenko nove soldati ucraini sono stati uccisi e 18 sono rimasti feriti nelle ultime 24 ore di combattimento.
DA MARZO 839 CIVILI UCCISI. Secondo il dipartimento sanitario regionale di Donetsk, solo negli ultimi tre giorni di scontro almeno 74 civili sono stati uccisi e 116 sono rimasti feriti.




Dati più inquietanti quelli dall'inizio dei combattimenti: da marzo hanno perso la vita 839 civili e 1.623 sono rimasti feriti.
PROTESTA DAVANTI AL PARLAMENTO. Intanto un migliaio di persone sta protestando davanti al Parlamento ucraino chiedendo che i funzionari pubblici legati al regime dell'ex presidente Viktor Yanukovich siano cacciati. Lo ha riportato l'agenzia Interfax.
Alla manifestazione partecipano attivisti di alcuni movimenti politici, tra cui il partito ultranazionalista 'Svoboda', il gruppo paramilitare nazionalista 'Pravi Sektor' e 'AutoMaidan', un gruppo che durante la rivolta a Kiev organizzava pacifici cortei di auto contro il governo.
I FILORUSSI PERDONO PEZZI. Intanto il 'comandante' dei separatisti filorussi, Igor Strelkov (all'anagrafe Igor Ghirkin), si è dimesso da ministro della Difesa dell'autoproclamata Repubblica popolare di
Donetsk. Il 13 agosto erano circolate voci che il comandante fosse rimasto gravemente ferito, ma i separatisti hanno poi smentito questa notizia. Strelkov è considerato da alcuni analisti il vero anello di congiunzione tra Mosca e i ribelli dell'est, e il governo di Kiev sostiene che si tratti di un colonnello dei servizi segreti militari russi (Gru).



lunedì 10 agosto 2015

VIDEO: Migliaia in piazza in Europa per dire no alla guerra tra Turchia e curdi e attacchi contro la polizia in tutta la Turchia






Quattro poliziotti turchi sono morti in un attacco nella provincia sudorientale di Sirnak. Attentato contro una stazione di polizia a Istanbul: 3 morti.

Due attentatori e un poliziotto sono rimasti uccisi a Istanbul negli scontri a fuoco seguiti all'attentato con una bomba contro una stazione di polizia avvenuto questa notte nel quartiere di Sultanebyili. La sparatoria è avvenuta questa mattina, durante le ricerche dei responsabili dell'attacco, che ha causato 10 feriti. Due assalitori hanno sparato oggi contro l'edificio Consolato degli Stati Uniti a Istanbul, scatenando uno scontro a fuoco con la polizia. L'attacco è avvenuto poche ore dopo l'attentato bomba contro la stazione di polizia.
Ieri è partita la missione americana presso la Nato aveva fatto sapere via Twitter che gli Stati Uniti avevano dispiegato sei caccia F-16 presso la base dell'aviazione militare di Incirlink, nella Turchia orientale, per rafforzare la lotta allo Stato Islamico nella vicina Siria. Gli Usa hanno già inviato propri droni dalla base di Incirlik per colpire obiettivi Isis in Siria. In base a media turchi, nei prossimi giorni dovrebbero arrivare in Turchia circa 30 caccia Usa per prendere parte all'operazione anti-Isis. Il mese scorso Ankara ha lanciato quella che ha definito una «guerra sincronizzata contro il terrorismo», colpendo obiettivi dello Stato Islamico in Siria, ma anche basi del Pkk nel nord dell'Iraq e nel sud della Turchia.





venerdì 26 giugno 2015

VIDEO: Intervista al sindaco di Kobane





Kobane resiste, l'Isis ha attaccato dalla Turchia

I convogli e i miliziani dell Isis sono entrati dalla frontiera di Mursitpinar, i combattenti curdi hanno bloccato l'assalto. Si parla di 40 morti.
Polemiche sull'arrivo dell'Isis a Kobane passando dalla frontiera nord, quella di Mursitpinar. Quella è la frontiera con la Turchia - denunciano i militanti - la stessa dove è stato negato il corridoio umanitario per i profughi, il passaggio degli aiuti per i combattenti curdi, l'arrivo di delegazioni internazionali, di medici, di farmaci... Una strana frontiera chiusa per le questioni umanitarie e non per i militanti dell'Isis. Dalla parte curda durante gli scontri in città sono state registrate 42 vittime e oltre 55 feriti, per la maggior parte donne o bambini. "Negli ultimi mesi molti miliziani di Daesh sono entrati in Turchia per riorganizzarsi e stanotte ci hanno attaccato alle spalle partendo dal confine turco. Quest'attacco ha lo scopo di bloccare la nostra avanzata" hanno raccontato. Da segnalare che la Turchia ha immediatamente chiuso i valichi di frontiera impedendo il passaggio dei profughi.
La testimonianza di Nessirin Abdalla, comandante dell'Ypj."L'attentato dell'Isis di questa mattina a Kobane è cominciato questa mattina con 4 autobomba in città poi hanno sparato a chiunque si trovava sulla loro strada". Comincia così il drammatico racconto di Nessirin Abdalla, comandante dell'Ypj, l'unità di difesa delle donne curde, raccolta oggi pomeriggio nel corso di una conferenza stampa alla Camera, organizzata da Sel. "Al momento- continua Abdalla- ci sono 20 morti tra i civili e diversi tra feriti e ostaggi, sia in città che nel villaggio di Bakha Botan. Ora le nostre forze di difesa hanno circondato questi gruppi ed e' arrivato anche l'aiuto da parte della coalizione". Gli uomini dell'Is, spiega la comandante Ypj, "sono entrati in città con una specie di camouflage, erano vestiti con divise della Free Syrian Army e diversi di loro si sono fatti esplodere come kamikaze. Questi gruppi sono stati tutti circondati e ora c'e' una forte battaglia tra Ypg (le forze curde in generale, ndr) e Daesh", cioè il nome in arabo dello Stato islamico. "Stiamo cercando con le forze di difesa- conclude Abdalla- di salvare la città di Kobane sacrificando il minor numero possibile di vite umane. Stiamo facendo verifiche sul fatto che siano passati dalla Turchia, molta stampa lo sostiene, ma noi lo stiamo ancora verificando".







Le forze curde siriane hanno annunciato di aver un'avviato una vasta un'operazione a Kobane per individuare i jihadisti dell'Isis che si sarebbero infiltrati durante l'attacco di questa mattina, 25 giugno 2015, e sarebbero nascosti in aree di quella che un tempo era la terza città a maggioranza curda della Siria. Lo ha riferito l'agenzia di stampa Dpa. 


Il portavoce delle Unità di protezione del popolo (Ypg), Redur Xalil, ha rivendicato l'uccisione di 15 combattenti di un gruppo composto presumibilmente da 35 jihadisti. I jihadisti, ha affermato, "non possono più muoversi liberamente in città perché le forze Ypg hanno lanciato una caccia all'uomo". 




L'attacco dell'Isis a Kobane.
 Stamattina, i jihadisti dello Stato Islamico dell'Isis hanno tentato con un'azione militare di prendere nuovamente il controllo di Kobane, città nel nord della Siria a ridosso del confine con la Turchia. Lo ha riferito la Bbc, che ha citato come fonte l'Osservatorio siriano per i diritti umani, una ong con sede in Gran Bretagna, legata agli attivisti delle opposizioni siriane. Secondo l'Osservatorio, gli scontri per riconquistare la città, iniziati nella notte, hanno causato diverse vittime. Le forze curde a fine gennaio erano riuscite a respingere i jihadisti fuori dai confini della città dopo una lunga battaglia con il sostegno dei raid aerei della coalizione internazionale. 

Bilancio dell'attentato: 25 vittime. Secondo le prime informazioni, il bilancio degli attentati, compiuti dai jihadisti nella periferia di Kobane-Yan Arab, è di 25 morti e 75 feriti. A riportarlo è il sito curdo di notizie Rudaw, che mostra un filmato in cui la città appare però calma. Il video, secondo Rudaw, risale a stamani, 25 maggio 2015. Citando il corrispondente a Kobane, Rudaw afferma che i miliziani dell'Isis si sono infiltrati in città indossando divise delle milizie curde. 
Ankara: l'Isis non è a Kobane. "Le affermazioni secondo cui i militanti dell'Isis sono arrivati a Kobane dalla Turchia sono infondate. Al più presto renderemo pubbliche le immagini": lo ha comunicato l'ufficio del governatore di Sanliurfa, la provincia sudorientale turca più vicina alla città siriana a maggioranza curda di Kobane, da fine gennaio controllata dalle milizie curde. Secondo Ankara, i jihadisti sono entrati oggi a Kobane , facendo esplodere un'autobomba, ma non avrebbero riconquistato la città. L' Osservatorio siriano dei diritti umani ha spiegato che nell'esplosione sono morte almeno 5 persone.

Le Unità di protezione del popolo (Ypg), ovvero le milizie curde, avevano annunciato la scorsa settimana di aver riconquistato la località strategica di Ayn Issa, ad appena 50 km da Raqqa, la roccaforte dell'Is in Siria. Pochi giorni prima i combattenti curdi avevano annunciato di aver preso il controllo del valico di Tal Abyad, sul confine con la Turchia, finora in mano ai jihadisti del sedicente Stato islamico.




giovedì 25 giugno 2015

VIDEO: Kobane: di nuovo sotto l’attacco dell’Isis





La città a maggioranza curda che era stata liberata lo scorso gennaio, è di nuovo sotto attacco. Dopo la liberazione, oltre 30mila rifugiati avevano fatto ritorno a casa




Torna l’incubo dell’Isis a Kobane, dove giovedì lo scoppio di un’autobomba ha ucciso diverse persone. Contemporanteamente sarebbero stati registrati gli attacchi da parte dell’Isis da sud, da est e da sud-est.

La cittadina a maggioranza curda, al confine tra la Siria e la Turchia, si era guadagnata le prime pagine di tutto il mondo, lo scorso gennaio, con la liberazione da parte dell’ YPG, (l’Unità di protezione del popolo) dopo una lunga offensiva dell’Isis, che aveva spinto oltre 100mila persone a fuggire in Turchia, su una popolazione di circa 400mila abitanti. Negli ultimi mesi, dopo la liberazione, sono tra le 30mila e le 35mila le persone che hanno fatto ritorno a casa.
Kobane è il luogo appeso tra la guerra e la pace, una città che, negli ultimi mesi, è stata guardata dal mondo come una roccaforte di speranza.
Kobane è ancora importante per l’Isis. Non è stata mai stata importante strategicamente ma gli ultimi attacchi dimostrano che la sua perdita, dopo cinque mesi di combattimenti in terra e bombardamenti aerei, brucia ancora”. Ha scritto il corrispondente della BBC, Quentin Sommerville. “L’assalto di giovedì è il monito che, nonostante le perdite recenti, nella zona, l’Isis è ancora molto attivo e capace di offensive. Durante la notte hanno attaccato anche Hassakeh, una città a est, che rappresenta un obiettivo molto più ricco.”