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lunedì 16 novembre 2015

La Francia invia caccia da bombardamento su Raqqa, roccaforte dello Stato islamico in Siria








La Francia passa subito al contrattacco dopo i brutali attentati dell’Isis
 che hanno messo in ginocchio Parigi venerdì scorso. Secondo gli attivisti anti-Isis, una pioggia di bombe francesi si sta abbattendo in queste ore su Raqqa, roccaforte dello Stato islamico in Siria.
Si parla apertamente di “almeno 30 i raid aerei che si sono intensificati in serata”. Il ministero della Difesa francese ha individuato in Raqqa la base del Califfato dove gli attentatori che hanno attaccato Parigi si sarebbero addestrati e riforniti di armi.
Ma la Francia non è sola in questa vasta operazione militare. Gli Stati Uniti stanno fornendo importanti dati di intelligence per i raid in Siria, informa il Wall Street Journal. Le ultime informazioni che giungono dalla Siria parlano di bombardamento a tappeto su tutti gli obiettivi più importanti.
10 jet impegnati,  annuncia il ministero della Difesa, avrebbero colpito anche il centro di addestramento e un altro per il reclutamento. Una risposta decisa quella francese che, di fatto, non ha atteso i pareri delle grandi potenze del G20. Eccezion fatta, ovviamente, per quanto riguarda gli Usa.
Intanto emerge con sempre maggiore decisione la voce secondo la quale sia stato il Califfo dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi in persona ad ordinare di colpire i Paesi “nemici” creando un’unità specifica per la pianificazione degli attacchi terroristici. Cellula terroristiche composte “da 24 elementi, 19 con il compito di effettuare gli attentati, addestrati a Raqqa”,
Previsti anche “altri 5 per il coordinamento e la logistica”. Gli 007 iracheni, però, sembra che avessero già avvertito la Francia, nel giorno precedente gli attacchi di Parigi, sull’imminente azione terroristica dell’Isis. Una segnalazione forse sottovalutata dal Governo francese.



martedì 13 ottobre 2015

VIDEO: Marina Russa riprende il lancio dei missili cruise contro postazioni dell' Isis






- La Russia ha proposto di tenere una riunione internazionale a Mosca sulla Siria, nonché di inviare una delegazione a Washington, guidata dal primo ministro Dmitry Medvedev. Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin, aggiungendo che l'incontro con Barack Obama a New York "è stato molto franco. In generale, abbiamo visto l'interesse dei nostri partner di lavorare insieme". 

Putin ha specificato: "Abbiamo proposto un incontro al più alto livello politico e militare a Mosca, ho detto che ero pronto ad inviare una folta delegazione a Washington per discutere la soluzione siriana. Finora, la risposta non c'è. Potrebbe essere una delegazione guidata dal primo ministro Dmitry Medvedev. Potrebbero entrarvi militari e il vice capo del livello di Stato Maggiore, servizi speciali". Ma secondo Putin "è necessario trasferire il lavoro a un livello più alto" ha detto Putin.



 




lunedì 12 ottobre 2015

VIDEO: Putin: siamo in Siria per stabilizzare le legittime autorità





Putin ha incontrato a Sochi il principe ereditario di Abu Dhabi per discutere di Siria

Il leader del Cremlino Vladimir Putin ha incontrato oggi a Sochi (Russia) il ministro della Difesa saudita, Mohammad bin Salman Al-Saud, col quale ha discusso i passi per stabilire il processo di pace in Siria.






Lo rende noto il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov, aggiungendo che Putin comprende le preoccupazioni saudite. Il presidente russo e il ministro della difesa saudita hanno discusso anche dei rapporti nella sfera tecnologico-militare e di cooperazione bilaterale.
Nell'incontro, ha riferito ancora Lavrov, Putin ha confermato al ministro della Difesa saudita che le forze aeree russe colpiscono obiettivi Isis.
In precedenza il leader del Cremlino aveva incontrato anche il principe ereditario di Abu Dhabi Mohammed Bin Zayed al-Nahyan, che è il vice comandante delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti.



giovedì 8 ottobre 2015

VIDEO: Siria si combatte, la Nato accusa Putin: "La Russia non mira all' Isis





DAMASCO (SIRIA) - Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, accusa la Russia di sostenere le forze a favore del regime di Assad e, in tal modo, di minare l’intervento militare della coalizione occidentale in Siria. “La Russia non mira all'Isis ma agli altri gruppi e sostiene il regime di Assad e questo non è un contributo costruttivo”, ha infatti dichiarato Stoltenberg prima della riunione dei ministri della Difesa dell’Alleanza a Bruxelles. Il segretario generale della Nato ha aggiunto che in Siria si è assistito ad “una problematica escalation di azioni militari russe”, motivo per cui l’organizzazione si dichiarerebbe “pronta a difendere tutti gli alleati, compresa la Turchia, e pronta a dispiegare le forze in Turchia se necessario”. In particolare, l’intervento militare di Mosca risulterebbe dannoso nella prospettiva in cui si sostenga l’idea dell’inefficacia sul lungo periodo di una soluzione militare e della necessità di una transizione, per la quale Assad deve lasciare il potere.
Proprio ieri il Dipartimento di Stato americano ha accusato Mosca di aver compiuto oltre il90% dei bombardamenti in Siria non contro l’Isis o Al Qaeda, ma contro gli oppositori di Assad. Accuse simili provengono anche da Gran Bretagna e Germania. Il ministro della Difesa inglese, Michael Fallon, ha detto: “La Russia sta rendendo molto più pericolosa una situazione già molto seria. Chiederemo esplicitamente alla Russia di smettere di sostenere il regime di Assad e di usare costruttivamente la sua influenza sul regime perché fermi il 'barrel bombing' sui civili. Deve smettere il bombardamento in zone non controllate dall'Is e dare più sostegno a paesi come Turchia e Giordania”. Il ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, ha aggiunto: “E' importante anche per la Russia capire che se si attacca chi lotta contro l'Isis, si rafforza l'Isis. E questo non è nell'interesse della stessa Russia”. Intanto, alcune Ong americane hanno denunciato il bombardamento di alcune strutture ospedaliere da parte di cacciabombardieri russi.






Ma la Russia smentisce tutto e, anzi, dichiara che gli attacchi dell’aviazione russa in Siria hanno messo fuori gioco “le capacità militari dell'Is e di altre organizzazioni terroristiche”. Lo conferma anche il tenente generale Ali Abdullah Ayyoub, che ha spiegato che l’esercito siriano ha sferrato un attacco decisivo contro i terroristi per liberare città e villaggi di cui gli estremisti islamici avevano preso il controllo. Inoltre, il direttore dell’Osservatorio siriano per diritti umani, Rami Abdulrahman, ha dichiarato che le truppe del governo siriano e le milizie alleate, sostenuto dagli attacchi aerei russi, hanno lanciato un’offensiva contro i ribelli dell’altopiano del Ghab, nell’ovest del Paese.



domenica 4 ottobre 2015

VIDEO: Siria un conflitto complesso e le dichiarazioni di Assad non fanno bene all' Occidente





– Secondo le dichiarazioni del vice-comandante dello staff generale delle forze armate russe, generale Andrei Kartapalov (uno degli ufficiali russi colpitidalle sanzioni europee), “a partire dal 30 settembre, l’aviazione russa ha effettuato oltre 60 missioni sul territorio della Repubblica araba di Siria, colpendo oltre 50 obiettivi infrastrutturali dell’Isis, tra cui centri di comando, depositi di esplosivi e munizioni, centri di comunicazione, piccoli impianti per la produzione di armamenti destinati ad attacchi terroristici, campi di addestramento per militanti”.
Le incursioni – precisa il generale – sono state condotte 24 ore su 24 dalla base aerea di Hmeymim fino molto all’interno del territorio siriano. Tali sforzi sono risultati nella distruzione di materiale e basi tecniche dei terroristi e hanno considerevolmente ridotto il loro potenziale di combattimento”.
Il successo dei primi tre giorni di operazioni appare tanto elevato che “le missioni aeree russe non solo continueranno ma aumenteranno d’intensità”, continua la lunga dichiarazione, che nel seguito dimostra il pieno controllo della situazione: “Abbiamo notificato tempestivamente l’inizio delle operazioni contro l’Isis: nella mattina del 30 settembre, l’addetto militare americano inIraq colonnello Hadi Petro è stato uno dei primi a esserne informato dal generale [russo] Kuralenko”, mentre “i colleghi stranieri sono stati informati… ed è stato raccomandato loro di ritirare tutti gli istruttori e consiglieri nonché le persone [ribelli ‘moderati’] che sono stati addestrati con i soldi dei contribuenti Americani” – qui l’ironia è piuttosto diretta.






L’ultima parte del comunicato assume poi un tono sferzante e tassativo, impensabile soltanto un paio di anni fa: “È stato anche raccomandato di bloccare qualsiasi volo aereo nell’area di azione dell’aviazione russa. A proposito, esperti Americani ci hanno informati che nel distretto [oggetto delle operazioni] non c’era nessuno eccetto terroristi.
… Chiunque sia interessato a contrastare i terroristi dell’Isis è stato invitato a partecipare a questa operazione, coordinando le azioni.
Abbiamo apertamente richiesto di condividere tutte le informazioni utili riguardo alle strutture dell’Isis sul territorio della Siria. Si deve riconoscere che ad oggi tali informazioni sono ricevute soltanto dai colleghi di Iran, Iraq e Siria. Siamo aperti al dialogo con tutti i Paesi interessati che volessero fornire contributi significativi”. L’alleanza è così delineata.

Nel video sottostante è possibile apprezzare cosa avviene quando i Russi individuano un “centro di comando” dell’Isis.
Secondo il Cremlino, la struttura mostrata nel video era un “centro di comando rinforzato vicino a Raqqah”, colpito da jet da combattimento Su-34 con bombe anti-bunker Betab-500, in grado di penetrare i rinforzi in calcestruzzo ed esplodere una volta all’interno che, secondo Igor Konashenkov, portavoce del Ministero della difesa di Mosca, “ha eliminato il centro di comando di uno dei gruppi terroristici, insieme a un deposito sotterraneo di esplosivi e munizioni: la potente esplosione all’interno del bunker indica che questo era utilizzato anche per immagazzinare una grande quantità di munizioni”, aggiungendo che tutti i raid “sono preceduti da una estesa sorveglianza per mezzo di droni e sono condotti a qualsiasi ora del giorno e della notte e in qualsiasi condizione atmosferica”.
Secondo numerosi analisti, l’esito della guerra contro gli jihadisti in Siria potrebbe essere questione di settimane invece che di mesi, il che sarebbe non soltanto estremamente imbarazzante per Washington, ma proverebbe molto efficacemente che gli Usa non si sono mai veramente impegnati per liberare la Siria dai gruppi estremisti, puntando unicamente alrovesciamento del legittimo governo di Bashar Al-Assad.
Il caos, la carneficina e l’emergenza umanitaria provocate dagli sforzi congiunti degli Stati Uniti, dell’Arabia Saudita e del Qatar per rovesciare Assad, in quella che recentemente su queste colonne abbiamo classificato come la guerra dei gasdotti, coinvolgendo l’Europa nel ruolo, come sempre passivo, di destinataria di immensi flussi migratori, ha fornito all’Iran e alla Russia – non a caso la controparte rispetto agli stessi gasdotti – un’opportunità unica per affermarsi come potenze egemoni nel medio oriente, molto al di là della Siria stessa. Cosa che ovviamente non sarebbe stata nemmeno immaginabile senza la vittoriosa resistenza prima iraniana e poi russa alle pressioni politiche, economiche e militari americane.
Prima di tutto, all’Iran si prospetta la continuità del collegamento con la potente formazione libanese di Hezbollah, e alla Russia la conservazione della sua storica alleanza con la Siriaincluse le basi militari, che da quella navale di Tartus si sono estese alle installazioni aereonautiche realizzate e tempo di record.
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L’asse Beirut – Damasco – Baghdad – Teheran che si va delineando in medio oriente, sostenuta da Russia e Cina
Inoltre, l’Iran da anni esercita la propria influenza sull’Iraq attraverso le milizie sciite (gli sciiti sono maggioranza nel paese) controllate dal comandante dei reparti iraniani di élite, i cosiddetti Quds, generaleQasem Soleimani, di cui sono note le frequentazioni al Cremlino. L’asse Mosca – Teheran può così ambire a espellere letteralmente gli americani da Baghdad, di cui l’accordo di cooperazione tra i servizi di intelligence di Iraq, Russia e Siria, sostenuto dall’Iran e annunciato alla fine di settembre, rappresenta un passo significativo. Altrettanto importante è stato l’intenso reclutamento di forze da parte delle milizie sciite irachene sotto il controllo iraniano, confluite già dall’anno scorso nella nuova formazione chiamata Kataib Al-Imam (Kia), la cui ossatura è stata fornita dall’esercito del Mahdi di Muqtada al-Sadr, potentissimo esponente sciita di Baghdad ritenuto a suo tempo tra i responsabili della decisione di impiccare Saddam Hussein (che, a sua volta, ne aveva fatto giustiziare il padre). Truppe ben addestrate del Kia sono impegnate nei combattimenti in Siria almeno dallo scorso mese di luglio, mentre un incontro operativo del generale Soleimani con ufficiali russi è sicuramente avvenuto il 24 dello stesso mese.
I combattenti iracheni e i volontari iraniani si stanno progressivamente spostando dall’Iraq alla Siria, soprattutto grazie alla decisiva copertura aerea fornita dalla Russia, unendosi così alle milizie di Hezbollah da tempo operanti nel paese.
A tutto questo deve aggiungersi l’annuncio di Baghdad, secondo il quale l’Iraq richiede ufficialmente e apertamente l’intervento dell’aviazione russa anche in Iraq contro le postazioni dell’Isis, indicando che una volta che Mosca e Teheran abbiano stabilizzato la Siria e il governo di Assad, la campagna congiunta dall’aria e sul terreno si sposteranno in Iraq, completando il vero e proprio “colpo di mano” che appare destinato a cambiare per lungo tempo gli assetti di potere e controllo in medio oriente.
Così il primo ministro iracheno Haider al-Abadi: “Siamo favorevoli ad un dispiegamento di truppe russe in Iraq per combattere le forze dell’Isis. Mosca potrebbe così fare i conti anche con i 2500 ceceni musulmani che lottano con lo Stato islamico in Iraq”.
Per completare il quadro territoriale, i russi hanno annunciato di voler fornire armamenti avanzati anche al Libano in funzione anti-terroristica, inclusi sofisticati sistemi anti-aereo, già consegnati recentemente all’Iran e ovviamente presenti in Siria – e prossimamente in Iraq – al seguito delle forze di Mosca.
Un risultato di tutto questo dispiegamento di forze è che lo stesso Israele non potrà più nemmeno immaginare di effettuare raid aerei contro postazioni di Hezbollah in Libano o in Siria, né qualsiasi altra operazione nell’area, che non sia gradita a Mosca. Non per questo, tuttavia, la sicurezza dello Stato ebraico appare più compromessa rispetto al passato.
Sul piano politico e diplomatico, infine, è da sottolineare che la stessa Cina non è rimasta alla finestra, prima dispiegando la portaerei Liaoning attualmente ancorata al porto diTartus, come confermato dal presidente del Comitato di Stato della Difesa della Duma russa Vladimir Komoyedov. A bordo della stessa portaerei saranno schierati ibombardieri cinesi di quarta generazione J-15, destinati ad affiancare le forze russe nei raid contro il califfato e le altre formazioni terroristiche. Sui tempi di tale impegno c’è incertezza, ma sul sito di intelligence israeliano Debka si parla di “giorni”.
Sembra quindi scattato il meccanismo delle alleanze sancite dalla Shanghai Cooperation Organization (Sco), guidato proprio da Russia e Cina, con l’Iran per il momento nel ruolo di “osservatore”.
Rimane soltanto un gigantesco interrogativo: a fronte di questa immensa débâcle dell’occidente, per non parlare del consiglio di cooperazione del golfo a guida saudita e qatariota, gli Stati Uniti e almeno il fido alleato britannico reagiranno in qualche modo, oppure rinunceranno senza colpo ferire al controllo del flusso del gas medio-orientale verso l’Europa nonché a gran parte dell’influenza politica e militare su un’area tanto vasta quanto strategica? Accetteranno che lo stesso gas, e forse in prospettiva perfino il petrolio della penisola arabica, sia scambiato in valute diverse dal dollaro? Lasceranno Israele potenzialmente in balia della volontà iraniana?
Per il momento, sul terreno rimane il cadavere della fallimentare strategia americana del controllo attraverso il caos e delle iniziative estranee alla legalità internazionale, sonoramente sconfitta dall’approccio russo che, come in Crimea e nel Donbass, ha subordinato qualsiasi intervento alla dimostrazione dell’effettiva volontà e del coraggio dei popoli. Quello dei siriani, stretti intorno al proprio presidente, è stato più che sufficiente



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giovedì 25 giugno 2015

VIDEO: Kobane: di nuovo sotto l’attacco dell’Isis





La città a maggioranza curda che era stata liberata lo scorso gennaio, è di nuovo sotto attacco. Dopo la liberazione, oltre 30mila rifugiati avevano fatto ritorno a casa




Torna l’incubo dell’Isis a Kobane, dove giovedì lo scoppio di un’autobomba ha ucciso diverse persone. Contemporanteamente sarebbero stati registrati gli attacchi da parte dell’Isis da sud, da est e da sud-est.

La cittadina a maggioranza curda, al confine tra la Siria e la Turchia, si era guadagnata le prime pagine di tutto il mondo, lo scorso gennaio, con la liberazione da parte dell’ YPG, (l’Unità di protezione del popolo) dopo una lunga offensiva dell’Isis, che aveva spinto oltre 100mila persone a fuggire in Turchia, su una popolazione di circa 400mila abitanti. Negli ultimi mesi, dopo la liberazione, sono tra le 30mila e le 35mila le persone che hanno fatto ritorno a casa.
Kobane è il luogo appeso tra la guerra e la pace, una città che, negli ultimi mesi, è stata guardata dal mondo come una roccaforte di speranza.
Kobane è ancora importante per l’Isis. Non è stata mai stata importante strategicamente ma gli ultimi attacchi dimostrano che la sua perdita, dopo cinque mesi di combattimenti in terra e bombardamenti aerei, brucia ancora”. Ha scritto il corrispondente della BBC, Quentin Sommerville. “L’assalto di giovedì è il monito che, nonostante le perdite recenti, nella zona, l’Isis è ancora molto attivo e capace di offensive. Durante la notte hanno attaccato anche Hassakeh, una città a est, che rappresenta un obiettivo molto più ricco.”






venerdì 22 maggio 2015

VIDEO: L'Isis conquista Palmira e ora controlla tutta la frontiera tra Iraq e Siria






Palmira in mano all’Isis, decapitati soldati siriani
. La città di Palmira, compreso il sito archeologico dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, è sotto il controllo dei jihadisti dell’autoproclamato Stato Islamico, che continua ad espandersi e ora controlla oltre il 50% della Siria.




 



Conosciuta in tutto il mondo come Palmira, la “Città delle Palme”, in Siria viene chiamata Tadmur, “Città dei Datteri”.

I primi riferimenti storici la definiscono come una delle tappe delle carovane che viaggiavano sulla Via della Seta e tra il Mediterraneo e il Golfo. Ma è stato solo durante l’Impero Romano che la città ha iniziato ad acquisire il suo prestigio. Nonostante circondata dal deserto, Palmira si è trasformata in un ricco centro per il commercio di spezie, profumi, seta e avorio, dall’Oriente, e di statue e manufatti di vetro dalla Fenicia.
Proclamata città libera dell’Impero Romano nell’anno 129 d.C. da Adriano, Palmira colse l’occasione per dichiarare la sua totale indipendenza. Guidati in rivolta da Zenobia, i residenti di Palmira riuscirono a vincere sui Romani a ovest e sui Persiani a est. La condottiera divenne poi regina e conquistò l’intera Siria e parti dell’Egitto, arrivando alle porte dell’Asia Minore. Ma quando l’imperatore Aureliano riprese la città, la potente regina venne riportata a Roma. Da allora, la città ha vissuto un lento declino.
Prima dell’inizio della crisi siriana nel marzo 2011, Palmira attirava più di 150.000 turisti da tutto il mondo ogni anno. Oggi, gli antichi tesori millenari della “perla del deserto” rischiano di sparire per sempre.




sabato 2 maggio 2015

ESCLUSIVO VIDEO: Salvataggio di un bambino siriano sotto le macerie





Uno dei tanti bombardamenti ad Aleppo in Siria, ma questo salvataggio praticamente sotto i riflettori di una telecamera mi ha stupito particolarmente e ti da una idea dei momenti drammatici che si vivono in quel lasso di tempo per strappare dalla morte una creatura così debole e piccola, la partecipazione ed emozione dei soccorritori e infine il bambino che cerca con tutte le sue tenui forze ad avere la meglio. Ma poi un pensiero ombroso attanaglia la mente, per tutti quelli che sono rimasti sotto e per tutti gli altri che ci rimarranno.



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sabato 24 gennaio 2015

Un video non verificato mostra l’uccisione di uno degli ostaggi giapponesi





Il filmato mostrerebbe la decapitazione di Haruna Yukawa, rapito in Siria dello Stato islamico ad agosto. Il governo giapponese sta cercando di verificare l’autenticità del filmato. Un altro cittadino giapponese è ancora nelle mani dei jihadisti

È stato pubblicato su internet un presunto video dello Stato islamico che mostrerebbe la decapitazione dell’ostaggio giapponese Haruna Yukawa, uno dei due cittadini giapponesi nelle mani del gruppo jihadista. Il governo giapponese sta cercando di verificare l’autenticità del filmato.
Haruna Yukawa, dipendente di una compagnia militare privata, è stato rapito dallo Stato islamico ad agosto. L’altro cittadino rapito dai jihadisti, Kenji Goto, è un giornalista



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Nel filmato diffuso poche ora si vede proprio Goto, con in mano una foto che mostrerebbe il cadavere senza testa di Haruna Yukawa. The Japan TimesAl Jazeera, Bbc

venerdì 16 gennaio 2015

Greta e Vanessa dai p.m

Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due cooperanti italiane rapite nel luglio dello scorso anno in Siria e rilasciate ierinon hanno subito violenze sessuali durante i cinque mesi trascorsi nelle mani dei sequestratori. Nelle quattro ore di interrogatorio davanti ai pm della Procura di Roma le due giovani, arrivate alle 4 di venerdì mattina all'aeroporto di Ciampino, hanno ricostruito i cinque mesi 'difficili' vissuti da prigioniere.
A 24 ore dalla loro liberazione sono ancora in stato di choc. Durante i colloqui con i magistrati, secondo quanto si è appreso, le due cooperanti hanno ricostruito momento per momento il sequestro.
Le due volontarie ai pm hanno detto di non essere al corrente di nessun riscatto pagato per la loro liberazione. Nulla, inoltre, hanno saputo dire di padre Dall'Oglio, rapito nel luglio 2013 in Siria.
I verbali dell'interrogatorio sono stati secretati. Ora i magistrati della Procura disporranno una serie di accertamenti e valuteranno le risposte avute oggi dalle due ragazze alle loro domande. Non è escluso che le due cooperanti debbano essere nuovamente ascoltate.
Mercoledì prossimo è in programma l'audizione del direttore generale del Dis Giampiero Massolo di fronte ai parlamentari del Copasir e tra i temi che saranno affrontati, apprende l'Adnkronos, ci sarà anche la vicenda di Greta e Vanessa.
Intanto continuano a rincorrersi conferme e smentite, anche tra gli stessi jihadisti, sul pagamento di un riscatto per la liberazione delle due italiane. Un account Twitter riconducibile ai miliziani siriani del Fronte al-Nusra smentisce che il gruppo, legato ad al-Qaeda, abbia ricevuto denaro dall'Italia.
"Il motivo del loro arresto è che molti agenti dei servizi segreti occidentali entrano (in Siria, ndr) come operatori umanitari. Le due ragazze sono state prese e sono state interrogate. E poi sono state rilasciate" ha twittato Abu Khattab al-Shami, che si definisce un jihadista nella file di "al-Nusra di al-Qaeda del Jihad nella terra di al-Sham".
Giovedì, invece, un altro account legato ai ribelli anti-regime, @ekhateb88, scriveva che è stato pagato un riscatto di "12 milioni di dollari" per il rilascio di Greta e Vanessa.
"Bentornate in Italia, abbracciate ai famigliari. Grazie a unità di crisi, servizi, tutto il lavoro di squadra". Con questo tweet, accompagnato dall'hashtag #GretaeVanessa, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha salutato il loro rientro. Parlando alla Camera dei deputati, il titolare della Farnesina ha detto che "un grande Paese si impegna a proteggere e a salvare la vita ai propri cittadini sequestrati".
"Quanto al tema dei riscatti, ho letto indiscrezioni prive di reale fondamento e in qualche caso veicolate da gruppi terroristici" ha detto il ministro degli Esteri, che ha sottolineato: "L'Italia nella lotta al terrorismo non accetta lezioni da nessuno, siamo in prima fila dall'11 settembre".
" Noi siamo contrari al pagamento di riscatti" ha aggiunto Gentiloni. "Voglio ribadire che in tema di rapimenti l'Italia si attiene a regole e comportamenti condivisi sul piano internazionale e che abbiamo operato in continuità con la linea seguita nel tempo dai governi che si sono succeduti - ha detto il titolare della Farnesina - non è la linea di questo governo, è la linea dell'Italia".
Gentiloni ha poi voluto ricordare che nell'ultimo anno in Siria sono stati liberati, con Greta e Vanessa, tre ostaggi italiani. Nello stesso periodo, ha sottolineato, in Siria sono stati liberati altri otto ostaggi provenienti da Francia, Spagna, Danimarca e Stati Uniti.
"Le due volontarie sono molto provate, si tratta di una vicenda che non dimenticheranno facilmentema sono libere, circondate dall'affetto dei loro familiari", ha aggiunto il ministro. Gentiloni ha poi sottolineato la necessità che di fronte a questa liberazione il Paese "unito" ringrazi chi l'ha resa possibile: "Voglio ringraziare i servizi di intelligence che hanno lavorato con coraggio e professionalità, l'unità di crisi della Farnesina e tutte le autorità coinvolte con un gioco di squadra che ha prodotto un risultato importantissimo".